Il pelo del consenso e il vizio della “sloganizzazione”

“Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”: così recita l’articolo 95 della Costituzione. Giuseppe Conte sta esercitando questi compiti con grande serietà e crescente capacità. Basterà per dare compattezza e continuità all’azione di governo, al di là dei cronoprogrammi che lasciano il tempo che trovano? Sarà sufficiente per colmare le incertezze dei partiti di maggioranza e superare i loro contenziosi?

L’attuale governo, oltre le difficoltà oggettive dell’affrontare i problemi sul tappeto,  oltre  la defatigante ricerca di un compromesso su molte materie del contendere, si trova a fare i conti con una situazione (quasi) paradossale: l’urgenza di cambiare stile, passo e contenuti, avendo però, quale maggiore (sul piano numerico) forza politica su cui basarsi, il M5S, che dovrebbe cambiare in larga parte se stesso (una terza forza calante nel suo velleitario non essere né di destra né di sinistra), il suo modo di fare politica (un populismo informatico che rischia di rimanere senza popolo), il suo programma (una testarda serie di obiettivi demagogici).

L’arte di governare consiste, come del resto succede in tutte le umane convivenze, anche e soprattutto nel trovare compromessi ai più alti livelli: Conte ci sta provando con indubbia abilità e gliene va dato atto. Il compromesso necessità però, a monte, di chiarezza di idee e di capacità di dialogo in capo ai partner. Non vedo né l’una né l’altra. Il partito democratico porta soltanto molta pazienza, ma non è in grado di mettere alle corde gli sfuggevoli grillini. I pentastellati continuano come se niente fosse successo, come se non avessero la brutta macchia di un’esperienza governativa con la Lega, come se non vedessero i loro consensi in caduta libera, come se i loro pallini governativi non fossero andati a pallino.

I cinque stelle non hanno capito che la gente non li sopporta più nella loro stucchevole smania di cambiare il mondo politico: sono riusciti in poco tempo a perdere consensi a raffica persino laddove, come in Calabria, hanno distribuito a piene mani il reddito di cittadinanza. Volendo estremizzare i discorsi al fine di “disloganizzare” la politica, devono convincersi che i problemi della giustizia non si risolvono allungando i tempi per la prescrizione, i problemi della mancanza di lavoro non si risolvono con una mancia elargita ai poveri diavoli, il problema della manutenzione e gestione delle infrastrutture stradali non si risolve con la revoca della concessione ai Benetton, i problemi della produttività e funzionalità del Parlamento non si risolvono diminuendo gli emolumenti e il numero dei parlamentari. E, in men che non si dica, si perdono anche i voti. Mio padre sarebbe oltremodo d’accordo ed aggiungerebbe: “Sì. I pàron coi che all’ostaria con un pcon ad gess in sima la tavla i metton a post tutt; po set ve a vedor a ca’ sova i n’en gnan bon ed far un o con un bicer…”.

I grillini, ammesso e non concesso che possano ancora chiamarsi così, devono avere il coraggio di cambiare pelle e carne. Finirla con la rivendicazione di un’assurda continuità, che non può esistere, smetterla col mero riciclaggio dei vaffa, che nel frattempo hanno perso incisività e credibilità, dare un taglio alla presunzione da primi della classe, perché la gente li sta retrocedendo a ruoli molto più anonimi e defilati, azzerare in larga parte una finta classe dirigente inadeguata e indifendibile. Non basta che la rapa diventi una pallida oliva per la quale non si può delirare. Non bastano i doppi salti mortali di Giuseppe Conte col rischio, alla lunga di sfracellarsi. Non basta la paura di andare al voto e di consegnare l’Italia ad una destra rissosa, penosa e pericolosa. Non ci si può permettere di temporeggiare in attesa che i grillini muoiano di morte naturale.

Qualcuno, un po’ ottimisticamente, vede il M5S incamminato verso un partito del 13-14 per cento (mi sembra lontano da questo obiettivo), capace, come il Psi di Craxi, di essere decisivo, ricattando a destra e manca (Grillo di Tacco). Se fosse così, spererei che il PD non si ispiri al CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) di infausta memoria, per fare magari un CAZ (Conte, Appendino, Zingaretti).