Trumpolini di guerra

Mio padre era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc., era visceralmente contrario ai conflitti armati.  Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis  Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”. Era una lezione di politica estera (sempre molto valida, più che mai in clima di unilateralismo, di guerra preventiva, etc.) e di antifascismo (bollando il regime per quello che era e non revisionandolo strumentalmente).

Ebbene purtroppo è tornato Mussolini, per la verità ne sono arrivati parecchi, nuovi di zecca, anche in Italia, riveduti e corretti, ma il più pericoloso e potente si chiama Donald Trump. Stiamo correndo rischi enormi, ma in tutto il mondo si grida: «Aridatece er puzzone», come fecero i romani esasperati, nel giugno del 1944, invocando il ritorno di Mussolini, nonostante il fascismo e la guerra avessero lasciato solo macerie, miseria e fame. Poco importava ai romani, i quali si illudevano di ottenere pane, lavoro e la soluzione dei loro problemi. Proprio come oggi.

La scorciatoia fascista è sempre dietro l’angolo, la si imbocca senza considerare dove può portare. Gli americani (per la verità una minoranza) hanno fatto così e magari lo rifaranno, scegliendo il salto nel buio trumpiano. A distanza di parecchi decenni, dopo aver combattuto il fascismo ne sono rimasti vittime come se niente fudesse. Nella strategia di Trump il concetto fondamentale è “la guerra”: quella commerciale dei dazi, quella dei muri contro l’immigrazione, quella terroristica contro il terrorismo, quella contro l’Ue in base alla teoria degli interessi Usa prima di tutto.

Ogni suo atto ha questo macabro sottofondo bellicista, figuriamoci adesso che è nel mirino della giustizia, che rischia grosso con l’impeachment in via di esecuzione, che è impegnato a ripresentarsi alle urne con rinnovato piglio guerrafondaio. L’uccisione di Soleimani, il generale degli ayatollah iraniani di stanza in Iraq, non ha nessuna motivazione seria dal punto di vista strategico, è soltanto un colpo di teatro a livello internazionale, che costerà assai caro a tutti. Le conseguenze si profilano piuttosto inquietanti e non tarderanno a farsi vedere e sentire. Trump ha buttato benzina sul fuoco iraniano e sui rapporti incandescenti a livello mediorientale: una riconferma alla Casa Bianca val bene una terza guerra mondiale.

Non ho parole di fronte a tanta irresponsabilità da parte dell’uomo più potente del mondo. Meglio, ne ho solo una. Quella usata appena prima della Brexit dagli scozzesi.  La loro propensione verso l’Unione Europea, seppure almeno in parte strumentale rispetto alle loro mire indipendentiste, sfociò in rabbia e trovò, per ironia del destino, un ulteriore motivo di ribellione nelle parole proferite proprio in Scozia nei giorni del referendum dall’allora aspirante candidato repubblicano alle presidenziali americane, Donald Trump: «Vedo un reale parallelo fra il voto per Brexit e la mia campagna negli Stati Uniti». Come riferiva Pietro Del Re, inviato di Repubblica, nel pub di John Muir a Edimburgo, quando Trump è apparso in tv, tutti i clienti si sono avvicinati allo schermo. Poi, hanno tutti assieme cominciato a urlargli insulti di ogni genere, il cui meno offensivo è stato senz’altro pig, porco. Mi associo convintamente.