Parma capitale de ché? Delle belle donne!

Mia sorella diceva di me, giustamente, che non è tutto oro quel che luccica: intendeva criticamente vedere i pochi pregi e i molti difetti della mia persona. Il discorso vale anche per Parma: speriamo che questo anno, vissuto da capitale della cultura, ne esalti i pregi, ma non ne nasconda ipocritamente i difetti ai quali bisognerebbe ovviare in prospettiva.

Non smetto mai il mio abito critico ed autocritico, anche se mi è costato e mi costa isolamento ed emarginazione. Sono fatto così e non pretendo di cambiare a settant’anni. Il mio rammarico è di non poter comunicare come vorrei il mio excursus critico verso Parma, la sua cultura, la sua storia, la sua politica. Mi piacerebbe tanto poter fare una sorta di controcanto delle celebrazioni varie che ci apprestiamo a vivere. Vedremo… L’importante è che non ci facciamo incantare e incartare dai rigurgiti del presunto fascino della ex o attuale capitale. Sono perfettamente consapevole di muovermi in controtendenza.

L’inaugurazione di questa sorta di anno sabbatico avverrà al teatro Regio con l’apertura della stagione lirica. Non poteva avvenire diversamente. Da anni non metto piede nel nostro teatro: ne ho fatto a suo tempo una notevole indigestione. Ho avuto modo di frequentare il teatro Regio da appassionato, fin da bambino, poi da “addetto ai lavori”. Vado agli anni settanta e ottanta. Allora il teatro era gestito direttamente dall’assessorato comunale tramite i suoi funzionari e con la collaborazione artistica di una commissione che lavorava a titolo gratuito. Bei tempi erano quelli: si spendeva molto, molto meno; si allestivano spettacoli di notevole livello; si coinvolgevano le risorse locali (conservatorio, artisti, scenografi, etc); si dava spazio ai giovani (audizioni e selezioni); si sognava (forse troppo) un festival Verdi in collegamento con la Scala di Milano e l’Arena di Verona; si difendeva (forse troppo) il ruolo e la tradizione di Parma dall’invadenza bolognese; si discuteva e si soffriva per un teatro ed il suo pubblico.

Il teatro Regio è sempre stato lo specchio impietoso delle virtù e dei vizi di Parma: la passione musicale unica al mondo per quantità e qualità abbinata all’illusione di essere l’ombelico del mondo in materia di opera lirica. Fin qui ci poteva anche stare, ma il tempo perso a guardarsi l’ombelico è servito solo ad imbalsamare la città costringendola allo sguardo rivolto all’ indietro alla ricerca dei fasti perduti.

Non ho ancora capito se l’ambaradan di Parma capitale della cultura sarà finalmente l’occasione per guardare avanti o se sarà l’ennesima occasione sprecata nella rianimazione del cadavere eccellente. Staremo a vedere. Vigilerò, anche se la mia vigilanza, da rompicoglioni patentato, farà sì e no il solletico. A volte anche il solletico dà fastidio dal momento che può innescare attacchi di riso. Magari cercherò, strada facendo, di rispolverare i miei scritti più critici e dissacranti. Se ne avrò voglia, perché in mezzo ai peana del “ma come siamo bravi” non c’è posto per un pierino qualsiasi che abbia l’ardire di alzare la manina per dire sommessamente: sì, ma forse non è tutto oro quel che luccica… “Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Parma che s’è dritta da la cintola in su tutta la vedrai»”.

Io preferirei vederla anche dalla cintola in giù per cantare da sporcaccione evviva Parma, città delle belle donne (su questo non ho niente da eccepire, anzi…) e quindi gridare…buon anno da capitale della cultura.