Il kafkiano processo ai migranti

Pur con tutta l’umiltà del caso, non credo di essere proprio un principiante della politica. Ciononostante sto faticando non poco a capire cosa sta succedendo in Parlamento in merito all’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini sul caso Gregoretti, la nave bloccata in mare e sulla cui vicenda la magistratura ha individuato un reato di sequestro di persona da parte dell’allora ministro degli Interni. Già la procedura è giuridicamente piuttosto tortuosa: parte la procura competente per territorio, che investe il tribunale dei ministri; questo per procedere ha bisogno del via libera parlamentare, nel caso specifico il Senato, essendo Salvini un senatore della Repubblica. Sulla questione si pronuncia in prima battuta la Giunta per le autorizzazioni a procedere, dopo di che è l’aula ha dare o meno l’ok definitivo al tribunale dei ministri. Questo organo giudiziario speciale decide poi eventualmente se trasmettere il caso alla magistratura ordinaria (se ho fatto confusione o commesso qualche errore, chiedo scusa, ma la mia intenzione non è quella di impartire una lezione di diritto pubblico e/o penale).

Siamo quindi ancora alle prime battute: la Giunta del Senato ha votato sì al processo per Matteo Salvini e fin qui uno direbbe che, tutto sommato, è giusto che la legge sia uguale per tutti, politici compresi, anche se il problema è più delicato e consiste nel valutare se gli atti compiuti dal ministro Salvini fossero di natura politica e quindi non censurabili dal punto di vista penale. Il presidente del Consiglio di allora, coincidente con quello attuale, sostiene, con qualche formalismo di troppo e con poca credibilità, che il governo non abbia dato, né formalmente né sostanzialmente, un placet alla presa di posizione del ministro degli Interni volta a bloccare l’approdo della nave con a bordo tanti migranti. Il Senato non doveva e non deve entrare nel merito dell’eventuale reato, ma valutare se il comportamento ministeriale rientrasse o meno nell’area delle competenze politico-istituzionali.

Sembrava che le forze politiche rappresentate nella suddetta Giunta fossero orientate in modo alternativo: quelle dell’attuale maggioranza del governo giallorosso a favore dell’autorizzazione con l’evidente imbarazzo dei grillini che in un caso analogo in vigenza del governo gialloverde avevano votato contro l’autorizzazione, ponendo Salvini al riparo previa pronuncia  sul web degli iscritti pentastellati, e con titubanze più o meno dichiarate da parte di Italia viva, il nuovo partito di Matteo Renzi; quelle di minoranza, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, orientate a votare contro l’autorizzazione ed a creare un cordone di salvataggio intorno a Salvini.

Ad un certo punto parte la politicizzazione spinta, per non dire la strumentalizzazione della vicenda. Per evitarla, almeno in vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria, si vorrebbe rinviare la questione al dopo elezioni, ma la Giunta, complice un discutibile atteggiamento della presidente del Senato, che a sorpresa partecipa al voto, decide di procedere. Comincia a sentirsi una tremenda puzza di tatticismi. Salvini fa la furbesca mossa di aprire improvvisamente la porta quando tutti spingono per forzarla: i suoi amici in Giunta voteranno a favore del prosieguo della procedura intendendo fare del leader leghista un martire della difesa dei confini nazionali e il capro espiatorio in nome del popolo italiano con lui prevalentemente solidale. I rappresentanti di maggioranza non partecipano al voto di Giunta e i pochi presenti, i 10 senatori del centro-destra, bastano per andare avanti e votare il seppur provvisorio sì al processo per Matteo Salvini.

L’iter parlamentare non è però finito: il 17 febbraio nell’aula del Senato cosa succederà? Staremo a vedere. V’è chi prevede una strana combinazione Lega, PD e M5S per mandare Salvini sotto processo, mentre Forza Italia, Fratelli d’Italia (l’Italia c’è, ma fino a che punto?) difenderebbero l’operato dell’allora ministro ritenendolo rientrante nei suoi compiti istituzionali. Una cosa è certa: l’opportunismo politico la sta facendo da padrone. Salvini vuole la piazza a tutti i costi e in un comizio arriva a dire: «Guareschi diceva che ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare dalla prigione. Siamo pronti, sono pronto». Se questa non è demagogia, cos’è? Fiuta l’odore populistico del sangue e si scatena. Non sono convinto che andrà fino in fondo in questo atteggiamento strumentale e non mi stupirei se, a babbo morto, vale a dire ad elezioni regionali avvenute e magari perse (speriamo…), tentasse di ribaltare il voto della giunta con un voto segreto in aula trasversalmente a lui favorevole.

«È sempre lo stesso film. Salvini ancora una volta fa uso politico della giustizia e sta costruendo un battage politico perché pretende l’impunità», replica il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Anche Luigi Di Maio attacca: «Salvini che dice “andrò a processo, scriverò le mie prigioni” è passato dal sovranismo al vittimismo. Lui lo sa che bloccare la Gregoretti fu una scelta sua».

Sono sinceramente frastornato e l’unico commento che mi sento di aggiungere è questo: sulla pelle dei migranti si sta giocando un’indegna battaglia politica mettendosi letteralmente sotto i piedi ogni e qualsiasi principio etico. Non solo si è portata avanti una linea politica insensata e scriteriata con la sciagurata pantomima dei porti chiusi, ma la si vuole sbandierare come una conquista di civiltà per cui immolarsi contro i vandali invasori e chi li protegge. Purtroppo il M5S ha fatto e continua a fare il pesce in barile per paura di perdere i voti che ha già perso e il PD non ha il coraggio di varare una seria politica per l’immigrazione per paura di perdere ulteriori voti. I migranti per l’Italia non sono carne da cannone, ma da seggio elettorale.