Il fantoccio salviniano

Me l’aspettavo. Avevo in tasca un mio recente sondaggio che non poteva sbagliare: un’anziana coppia, alle ultime elezioni politiche, in barba alla tradizione famigliare di sinistra risalente al periodo resistenziale e alla militanza nella Cgil, aveva inopinatamente optato, lei per l’astensione, lui per il voto sguaiato e spudorato alla Lega. Zitti, zitti, ci hanno ripensato e, da quanto mi è dato sapere, hanno votato, cuore in mano, per Stefano Bonaccini e per il Pd. Non è un percorso isolato e strampalato di pochi, è molto probabilmente un risveglio politico di molti. Quando ho saputo per vie traverse di questa conversione, ho tirato un respirone di sollievo: era fatta!

La politica è fatta di storia, di valori, di ricordi, di passioni, di vita vissuta. Matteo Salvini non l’ha capito, pensava di poter ottenere un risultato diverso cambiando l’ordine dei fattori: ha verificato che il prodotto non cambia. Ha sbattuto la testa contro chi ce l’ha ben più dura di lui. Ha stuzzicato il cane che dormiva e ne è rimasto aggredito a sangue. Non so se sia stato l’effetto delle sardine, non so se abbia giocato l’orgoglio del passato, non so se abbia prevalso il buonsenso del presente, non so se Salvini, buttando la maschera, abbia spaventato gli emiliani, non so se chi aveva votato M5S abbia capito l’antifona, non so se finalmente il Pd sia riuscito a rinverdire la sua foresta. Fatto sta che posso tirare un secondo respiro di sollievo: dopo la nascita del pur traballante governo giallorosso, c’è la rinascita del pur sbiadito retroterra rosso.

Queste elezioni danno segnali politici molto netti e incoraggianti, riconducibili ad una realtà incontrovertibile: la politica non è fatta di improvvisazione e di provocazione, è fatta di valori e di proposte. In questi anni, giorno dopo giorno, lo hanno sperimentato i grillini, costretti a prendere atto dei loro fuochi di paglia. Gli emiliani lo hanno improvvisamente gridato in faccia a Salvini, costretto a mettere le pive nazionaliste nel sacco. Pensavano bastasse urlare, rendersi visibili a tutti i costi, sparare a salve, gridare al lupo, invece non è così semplice…

A Silvio Berlusconi nel 1994 gli esperti, che lo aiutarono a buttarsi nella mischia, consigliarono alcuni slogan, ma si affrettarono a dirgli che l’effetto, prima o poi, sarebbe finito. Il discorso vale, a maggior ragione per la Lega salviniana, fatta di spaventapasseri collocati nei punti scoperti della pubblica opinione. Ebbene gli spaventapasseri sono diventati i fantocci da bruciare.  Manco a farlo apposta il falò del vecchione è un’antica e consolidata tradizione della città di Bologna e dei comuni limitrofi, oltre che di alcune aree del modenese, che consiste nel rogo di un grande fantoccio dalle sembianze di vecchio (il vecchione) che avviene alla mezzanotte del 31 dicembre per festeggiare il Capodanno.

Matteo Salvini, come spesso accade, si è illuso di sbaragliare il campo con quattro fregnacce sbattute in faccia agli emiliani: lo hanno rispedito a casa sua con biglietto di sola andata. Il popolo di sinistra, in mezzo a tanti dubbi e difficoltà ha battuto un colpo. Le persone ragionevoli hanno ripreso a ragionare. Speriamo che duri a lungo. Se il buon giorno si vede dal mattino, forse, e sottolineo forse, è iniziato un nuovo giorno, dopo una nottata di paura. Per oggi può bastare.