I cani e i gatti della democrazia

Dell’Emilia-Romagna forse non se ne è mai parlato tanto così a sproposito. Siamo diventati nostro malgrado la prova del nove della moltiplicazione dei voti alla Lega di Salvini e di conseguenza gli arbitri dell’attuale precario equilibrio governativo. Tutti aspettano il risultato delle urne delle prossime elezioni regionali, in particolar modo di quelle di una fondamentale regione come l’Emilia. Ci dovremmo sentire onorati di avere gli occhi addosso di tutti, in realtà stiamo facendo da cavia per arginare l’ondata sovranista e per recuperare la storia della sinistra. Ci viene buttata addosso una eccessiva responsabilità e temo che, comunque vada, resteremo e resteranno tutti delusi. Un illustre ed autorevole personaggio, di cui non ricordo il nome, sosteneva che la democrazia inizia il giorno dopo delle elezioni.

Sarà senz’altro così anche il 27 gennaio prossimo. Se dovesse disgraziatamente vincere, anche di strettissima misura, la finta candidata leghista capace solo di reggere il lume a Salvini, molto probabilmente ci incammineremmo in una ulteriore campagna elettorale nazionale e mi spaventa non tanto la prospettiva di un trionfo della destra, ma la messa in liquidazione della politica a favore di uno strisciante regime pseudo-fascista di cui si intravedono i contorni.

Se dovesse, me lo auguro con tutto il cuore, prevalere l’uscente governatore, esponente della pragmatica sinistra del buongoverno, si andrà avanti nel traccheggiamento del governo giallo-rosso al fine di evitare, giustamente anche se fino ad un certo punto, elezioni politiche che potrebbero comunque consegnare il Paese alla peggior destra possibile.

Elezioni per fare o per evitare altre elezioni: non mi sembra sinceramente una bella prova democratica. Non si vede cosa c’azzecchi l’Emilia-Romagna, non si nota cosa c’entrino i reali problemi del Paese, non si capisce come e dove evolva la politica italiana. Siamo chiamati a scegliere fra il certo e l’incerto: il certo di un modo democratico, anche se discutibile e migliorabile, di governare e l’incerto di un modo antidemocratico, anche se illusoriamente appetibile, di cambiare le carte in tavola. Da una parte c’è una criticabile fin che si vuole proposta di continuità, dall’altra parte c’è una volatile e velleitaria promessa di discontinuità. Sembra che l’esito della gara sia incerto e già questo è un fatto clamorosamente negativo: che in una regione come l’Emilia, con il passato e la tradizione politica che si ritrova, la sinistra rischi di vincere o perdere al fotofinish contro una signora nessuno che lavora per un signor qualunque, è una follia che non avrei mai più immaginato. Sono messi in discussione i fondamentali: come se in una partita di calcio non si riuscisse a capire se si gioca con le mani o con i piedi.

Siamo caduti in basso? E non è ancora finita. Ecco perché giudico pericoloso e sbagliato mordere il freno su queste strane elezioni regionali. Il mondo e l’Italia non finiscono e non cominciano il 26 gennaio. Cerchiamo di avere il senso delle proporzioni e non esageriamo il significato di un pur importante voto. Bene hanno fatto le sardine a reagire contro un andazzo che rischiava di trasferirci al di fuori dei confini democratici, ma attenzione a non accontentarsi di segnare il territorio democratico come fanno i gatti e di scongiurare il pericolo di essere sbranati dai cani. Il governo quindi fa malissimo a rinviare tutto al dopo elezioni. Quando una scadenza viene così impropriamente enfatizzata, mi viene la tentazione di snobbarla. Stavolta però non lo posso fare. Andrò a votare, non perché ci sia in ballo il futuro della democrazia, che è ormai in ballo da diverso tempo, ma perché occorre riprendere il filo della democrazia, pescando nei problemi e nei valori che la mia regione, nonostante tutto, riesce ancora a consegnarmi.  Votare per ricominciare comunque a fare politica dal giorno dopo.