Giuseppi, se ci sei, batti un colpo

La rubrica televisiva “cartabianca”, oltre lo spettacolo delle belle gambe esibite con una certa classe dalla petulante conduttrice, dovrebbe offrire spunti di riflessione ed approfondimento a livello politico. Dipende molto dagli ospiti intervistati sui fatti emergenti. Mi è capitato di vedere la puntata in cui, sulla crisi internazionale post uccisione dell’iraniano Soleimani, due illustri commentatori quali Paolo Mieli e Massimo Cacciari si sono espressi a ruota libera riguardo allo scompiglio venutosi a creare in conseguenza del blitz americano.

Dal dibattito è emerso un dato di fatto giustamente preso di mira: la debolezza della posizione europea all’interno della quale spicca l’assordante silenzio del governo italiano. Nessun accenno critico al di là degli stucchevoli e retorici richiami alla responsabilità, alla prudenza e al dialogo. Mentre il balbettio del ministro degli Esteri Luigi Di Maio rientra nella normalità di un uomo capitato per puro caso alla Farnesina, mentre la insistita e formale diplomazia del premier Luigi Conte si giustifica con la debolezza endemica di un governo improvvisato tenuto insieme con lo scotch, il silenzio del partito democratico indispettisce  per la mancanza di quel coraggio, che storicamente , pur nella dovuta deferenza verso l’alleato Usa, la politica italiana ha dimostrato nei passaggi cruciali delle crisi mediorientali.

Mentre il filosofo (Massimo Cacciari), un tempo prestato (poco) alla politica ed ora (troppo) alla critica politica, si è giustamente scatenato contro il Pd reo di non battere nemmeno un colpo distinguendosi dal generale e paralizzante imbarazzo, lo storico (Paolo Mieli), a suo agio negli studi di “passato e presente”, ma piuttosto scialbo nei vari dibattiti in cui interviene, ha  buttato la palla nella tribuna del sarcasmo, sostenendo ironicamente come Giuseppe Conte non possa dar addosso a quel Trump che gli ha offerto un prezioso assist affibbiandogli lo storico e amichevole nomignolo di “Giuseppi”.

In effetti l’attuale presidente del Consiglio è troppo appoggiato a livello internazionale e questi appoggi forse possono finire col ritorcersi contro di lui, imprigionandolo in uno splendido isolamento acritico. Però che il rimbrotto parta dal “pulpito mieliano” mi lascia francamente molto perplesso: se c’è un personaggio che brilla per opportunismo dialettico è proprio Paolo Mieli; non manca mai all’appuntamento con l’aria fritta che tira. Quindi, come si suol dire, “medico, cura te stesso”.  Il che non toglie nulla alla sacrosanta critica verso un Conte in chiara, evidente e malcelata difficoltà.

Ascoltando i commenti più intelligenti si evidenzia un’altra incongruenza. Viene richiesta un’iniziativa forte e credibile da parte dell’Unione europea per far fronte alla pericolosa situazione in cui spadroneggiano Usa, Russia, Turchia, Cina alla ricerca di equilibri bellici e post-bellici. L’assenza dell’Europa sullo scacchiere internazionale è evidente, però non bastano gli auspici. Se all’integrazione europea si crede fino a mezzogiorno, non si può pretendere che nel pomeriggio la comunità europea trovi la forza per esprimere una posizione forte ed unitaria. Se per trovare il filo della matassa libica non basta il commissario alla politica estera, non basta tutta la commissione, non basta la conferenza dei ministri degli esteri dei paesi membri, ma bisogna riunire attorno a un tavolo i rappresentanti di Francia, Germania, Italia e Inghilterra a dettare una improbabile linea comune, vuol dire che siamo messi molto male e che Trump se ne potrà fare un baffo della Ue e dei paesi europei ed avrà “carta bianca” per proseguire in un’azione in cui è molto difficile intravedere una strategia complessiva in cui potersi in qualche modo inserire.

A chi sostiene come in fin dei conti sia sempre stato così e che Italia ed Europa l’abbiano sempre dovuta bere dalla botte americana rispondo con la storiella di quel padrone che manda il giovane garzone a comprare una bottiglia di vino. Lo assaggia dicendo al garzone: «Brrr…cmé l’é brusch. Par ti el ne va miga ben…». Al che il garzone risponde: «Speta un minùd. A voj fär br… ànca mi…». Non capisco i garzoni che si accontentano di guardare le bevute del padrone sperando che qualcuno possa loro regalare il buon vino. Forse in passato riuscivamo almeno a fare qualche assaggio, oggi siamo obbligati ad essere astemi di fronte alle ubriachezze moleste dei potenti.