Condannare il passato per non criticare il presente

In questi giorni, girovagando su internet, mi sono imbattuto nella riproposizione delle udienze del processo Cusani per le tangenti Enimont, celebrato quale simbolica battaglia giudiziaria portata vanti dalla magistratura milanese. Per processo Enimont s’intende il principale processo giudiziario della stagione di Mani pulite, svoltosi a Milano tra il 1993 e il 2000, che vide coinvolti i maggiori esponenti politici della Prima Repubblica, accusati, insieme ad alcuni imprenditori (tra cui molti del gruppo Ferruzzi, padrona della Montedison), di aver versato e aver intascato una maxi-tangente di circa 150 miliardi di lire: soldi utilizzati per finanziare i partiti in maniera illegale (il cosiddetto finanziamento illecito). Si scoprì che buona parte di quei soldi (circa 2/3) passò per conti detenuti presso l’Istituto per le Opere di Religione, versati sotto forma di titoli di Stato.  Le tangenti vennero pagate dal finanziere Raul Gardini perché si arrivasse alla conclusione di un accordo che non andava in porto, l’affare Enimont (fusione dei due poli della chimica, l’Eni, a controllo statale, e la Montedison privata), attraverso l’intermediario Sergio Cusani, dirigente del gruppo Ferruzzi (azionista di maggioranza della Montedison).

Ho rivisto le testimonianze di Bettino Craxi e di Arnaldo Forlani, poi condannati pesantemente anche quali capri espiatori di un sistema di finanziamento illegale della politica, che era effettivamente degenerato a livelli incredibili di corruzione e che si era allargato a dismisura coinvolgendo anche, seppure in misura limitata il partito comunista, stretto politicamente nella morsa ricattatoria del Psi: si pagavano tangenti anche sui loculi cimiteriali. Giravano cifre enormi, si trattava allora di miliardi di lire erogati ai partiti, soprattutto per ottenere il loro interessamento affaristico. Era un giro vorticoso di dazioni in cui era difficile districarsi.

Sono passati decenni, sono cambiati i protagonisti della vita politica, sono mutate le leggi, abbiamo nuovi partiti e movimenti, ma, tutto sommato, sembra che il sistema sia rimasto più o meno lo stesso, con l’aggravante che ai tempi della prima tangentopoli i vantaggi andavano ai partiti, mentre oggi vanno prevalentemente a singoli personaggi politici. Alla relativa e presumibile omogeneità affaristica tra i due periodi fa riscontro un’abissale differenza di livello culturale e politico fra la classe dirigente della cosiddetta prima repubblica e quella odierna. Resta invece immutata ed esageratamente incisiva ed invasiva l’azione della magistratura, che sembrava e sembra più rivolta a squalificare la politica che a pulirne i contenuti.

Proprio in questi giorni è stata sentita in procura a Milano, sul caso Savoini, Irina Aleksandrova, la misteriosa donna, nonché nota giornalista dell’agenzia russa Itar Tass, che il 16 luglio dello scorso anno, a tre mesi dall’ormai famoso meeting al Metropol di Mosca, ha moderato la conferenza stampa dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, dopo la sua prima visita ufficiale a Mosca. E, al termine, davanti ai tanti giornalisti presenti in sala stampa, ha ringraziato il presidente dell’associazione Lombardia-Russia ed ex portavoce del leader della Lega, che ha reso possibile quell’incontro.

Una testimonianza chiave per mettere insieme alcuni dei pezzi raccolti nel corso dell’inchiesta per corruzione internazionale condotta dai pm Sergio Spadaro, Gaetano Ruta e Donata Costa per fare luce su un affare da un milione e mezzo di dollari: la compravendita di un grosso carico di petrolio russo all’Eni, che avrebbe dovuto far confluire 65 milioni di dollari nelle casse del Carroccio per finanziare la campagna elettorale alle Europee. Un’inchiesta che parte dall’audio dell’incontro del 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol di Mosca tra Savoini, l’avvocato Gianluca Meranda, l’ex bancario Francesco Vannucci e tre russi, tra cui Ilya Andreevich Yakunin e Andrey Yuryevich Kharchenko, legati all’ideologo di estrema destra Aleksandr Dugin e a Vladimir Pligin, uomo forte del presidente Vladimir Putin. Una registrazione finita nelle mani di un giornalista dell’Espresso, non si sa da chi effettuata. Nel frattempo, però, molte altre registrazioni audio sono state trovate dagli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria milanese sul cellulare di uno dei tre indagati, l’avvocato Meranda. Colloqui ma anche telefonate che il legale avrebbe registrato attraverso un’applicazione “spia” scaricata sul suo telefonino.

Siamo nel campo delle ipotesi di reato. L’inchiesta va avanti tra imbarazzati silenzi e sbrigative colpevolizzazioni. Oltre tutto, nel caso in cui fossero accertate responsabilità di Salvini e c., esisterebbe anche l’aggravante di affari assai poco puliti fatti con Stati non rientranti nelle nostre storiche alleanze. Mi è venuto spontaneo azzardare un collegamento fra la tangentopoli di alcuni decenni fa e quella di cui sopra, peraltro tutta da dimostrare (è doveroso ribadirlo, infatti il mio discorso è più politico che giudiziario), meno sistemica e più episodica, ma certamente molto simile. Sarebbe sempre l’Eni al centro di queste vicende equivoche, che ha funzionato in passato come pronta cassa per i partiti, fin dai gloriosi tempi di Enrico Mattei, il quale, pur nella sua grande, coraggiosa e ammirevole capacità imprenditoriale, non si faceva scrupolo di pagare spregiudicatamente i partiti come se fossero dei taxi. Sempre delicatissimi i rapporti fra economia di Stato e politica.

Mi sento di ridimensionare le responsabilità di certi personaggi politici del passato, protagonisti di una stagione complessa, che va rivista e storicamente ricollocata nella storia del nostro Paese. Forse non aveva tutti i torti Bettino Craxi nel sostenere che la politica aveva dei costi tali da essere costretta a finanziarsi illegalmente con le tangenti: «Sono sempre stato al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire quando portavo i pantaloni alla zuava […] In Italia il sistema di finanziamento ai partiti e alle attività politiche in generale contiene delle irregolarità e delle illegalità, io credo, a partire dall’inizio della storia repubblicana. Questo è un capitolo, che possiamo anche definire oscuro della storia della democrazia repubblicana, ma da decenni il sistema politico aveva una parte, non tutto, una parte del suo finanziamento, che era di natura irregolare o illegale; e non lo vedeva solo chi non lo voleva vedere e non ne era consapevole solo chi girava la testa dall’altra parte. I partiti erano tenuti ad avere dei bilanci in parlamento, i bilanci erano sistematicamente dei bilanci falsi, tutti lo sapevano, ivi compreso coloro i quali avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo […]»

Di qui a costruire un vero e proprio modus vivendi corrotto, centrale e periferico, ci passa una bella, o meglio brutta, differenza. Tuttavia non credo fossero tutti ladri e tutti stupidi i politici di quell’epoca, così come non credo siano tutti onesti e furbi i politici di oggi. Se posso essere sincero, alla fine dei conti, rimpiango i tempi passati nonostante lo schifo di tangentopoli.