Meglio minchioni piuttosto che Mincioni

Quest’anno mi è venuta una forte nostalgia del presepe e ne ho allestito uno, piccolo ma grazioso, all’ingresso della mia abitazione, su un mobile a suo tempo restaurato dal lavoro di una cooperativa per il recupero di soggetti in difficoltà. Mi è sembrato il posto giusto: accogliere i miei visitatori natalizi con questo segno collocato in corrispondenza biunivoca col lavoro umano vissuto come occasione di riscatto e di crescita. Sono sceso in cantina, ho individuato lo scatolone giusto, l’ho aperto e ne ho estratto capanna e statuette. Ho cercato poi di collocare intorno alcuni soprammobili intonati al tema: il tutto al centro della mia casa e della mia vita.

Forse la spinta me l’ha impressa papa Francesco, che ha dedicato al presepe la lettera apostolica Admirabile signum, in cui scrive: “Fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”.

Terminato il lavoretto con una certa soddisfazione, rispolverati i ricordi inevitabilmente e giustamente indotti da esso, sono passato dall’attualità dell’evento natalizio a quella delle cronache giornalistiche: mi sono messo al computer per scorrere, come faccio ogni giorno, le notizie e gli articoli disponibili sui siti dei principali quotidiani. Il Corriere della Sera proponeva la minuziosa ricostruzione di un’operazione finanziaria e immobiliare effettuata, peraltro con pessimi risultati, dal Vaticano, che da circa sei anni ha un capitale enorme congelato in un prestigioso palazzo a Chelsea, nel cuore di Londra. Si tratta di un investimento da 200 milioni di dollari, ed è una delle più grandi, ma anche controverse, operazioni finanziarie mai realizzate dalla Santa Sede. Ho letto con fastidioso interesse i vari passaggi di questa vicenda.

La vicenda parte nel 2012 da un certo Mincione, un finanziere allora semisconosciuto, che entra nella partita grazie al Credit Suisse, nei cui conti svizzeri confluisce l’Obolo. Il custode della cassa vaticana è un dirigente dell’istituto, banchiere di riferimento della Santa Sede. «Gli ho detto – racconta Mincione – volete raddoppiare i soldi? Vi propongo un mio palazzo al centro di Londra». L’immobile è ubicato al numero 60 di Sloane Avenue, già sede di Harrods. E gli uomini di chiesa affidano i 200 milioni al Fondo Athena, gestito da Mincione. Il fondo ha un solo cliente-sottoscrittore: il Vaticano.

Salto tutti gli ulteriori passaggi. Alla fine di tutta la ingarbugliata vicenda il Vaticano ha dovuto sborsare fior di quattrini ai vari intermediari intervenuti nella gestione dell’investimento, altri denari per liquidare i fondi in cui è rimasto impegolato e altri ancora per consulenze varie. Nelle casse del Papa invece, dopo sette anni, non è entrato un euro di guadagno. Il Pontefice ha parlato di «Corruzione» nella gestione del patrimonio della Segreteria. E su questo sta indagando la magistratura vaticana. Cinque persone sono finite sotto inchiesta. A Londra è in corso un progetto di ristrutturazione del palazzo, affidato all’ingegnere Luciano Capaldo, per creare nuovi uffici. Insomma si vogliono far fruttare tutti quei milioni fermi da troppi anni. Come? L’ha spiegato lo stesso Papa Francesco, giorni fa: «Affittare e poi vendere». Perché i soldi dell’Obolo, ha sottolineato, vanno investiti ma poi anche spesi. Senza imbrogliare.

Ho ascoltato infatti la linea difensiva del papa durante la conferenza stampa sul volo aereo di ritorno dal Giappone, poco chiara e poco tranquillizzante: si è limitato ad enfatizzare un certo qual cambio di clima, più trasparente, responsabile ed intransigente, ma ha eluso il problema di fondo, vale a dire la commistione tra Chiesa ed affari, illudendosi velleitariamente di poter fare operazioni finanziarie senza contaminarsi e scendere a compromessi col potere economico. Alla fine sono stato preso da un impulso infantile: ho scritto la seguente breve letterina di Natale a papa Francesco, parafrasando quelle semplici che indirizzavo a mio padre mettendogliele sotto il piatto alla tavola della cena della Vigilia. Ho forse finito col fare la parte non tanto del bambino, ma del minchione: non so cosa farci…

“Caro papa,

io ti voglio molto bene, ti ammiro e ti chiedo perdono per tutte le volte che da cristiano mi sono comportato male. Ti prometto di fare il bravo e di obbedirti. Però ti devo chiedere un favore: continua pure a parlare a favore dei poveri, ma cerca di convincere tutti i tuoi collaboratori a vivere in povertà, lasciando perdere gli affari di soldi e preoccupandosi degli affari di cuore. Quest’anno ho fatto il presepe, ubbidendo al tuo invito, ma nel presepe non ho trovato finanzieri, banchieri, immobiliaristi. Ho visto solo povera gente intorno alla grotta. Se vuoi, caro papa, ci andiamo insieme e vedrai che è proprio così. Tuo figlio Ennio”.