Lo zar Boris di Gran Bretagna

Da europeista convinto avevo sperato che il Regno Unito si ravvedesse, tornasse sui suoi passi e desse una dura lezione ai conservatori, rappresentati e guidati da quel Boris Johnson a cui non affiderei nemmeno il governo di una bocciofila, men che meno l’amministrazione del mio condominio. Invece, come scrive Alberto Simoni su “La stampa”, il Regno Unito ha votato per la Brexit e per il cavaliere più spregiudicato e geniale, rigettando il manifesto e i timori laburisti. E lo ha fatto in maniera netta e travolgente.

Se errare è umano e perseverare è diabolico, i britannici hanno scelto convintamente il diavolo e rifiutato drasticamente l’acqua santa. Ce ne dobbiamo fare una ragione. Sono crollati i muri rossi e i bastioni laburisti, i ravvedimenti operosi e ragionevoli che sembravano profilarsi sono spariti come d’incanto, il Regno Unito si è confermato il Paese che tre anni e mezzo fa votò Leave. In effetti la proposta di Johnson metteva la Brexit davanti a tutto, come se il resto dipendesse esclusivamente da questa folle scelta isolazionista e anacronistica. Gli elettori gli hanno dato ragione.

In Italia molti alzeranno le spalle e se ne fregheranno altamente, pensando che si tratti di questioni altrui. Altri saluteranno con malcelato interesse e godimento questo voto a supporto delle loro miserevoli aspirazioni nazionaliste e sovraniste. Sbagliano e se ne accorgeranno forse più presto di quanto si possa prevedere. Prima dell’Europa, piange la storia privata di un contributo democratico, piange il mondo occidentale dilaniato dagli egoismi, piange la politica ridotta a scelte radicalmente pressapochiste, piangono i parlamenti relegati nelle cantine della democrazia rappresentativa.

Speravo che avesse ragione Indro Montanelli quando introduceva nel giudizio politico il criterio del “guardatelo in faccia!”: non ha funzionato con Boris Johnson. Forse ormai la gente non è alla ricerca di qualcuno che sappia incarnare o tenti almeno di incarnare le virtù, ma di qualcuno che sappia coltivare i vizi privati, illudendosi che possano diventare pubbliche virtù. Nel triste attuale pantheon di questi paradossali personaggi della storia dei nostri giorni entra prepotentemente anche Boris Johnson, che si colloca vicino ai Trump, ai Putin, agli Erdogan, ai Bolsonaro, ai Duterte e compagnia brutta.

Saprà l’Europa darsi una scossa, reagire, rinserrare le fila, proseguire il cammino di integrazione, ergersi come oasi democratica nel deserto mondiale? La speranza è obbligatoria, anche se i segnali piuttosto equivoci e preoccupanti sono tanti. Manco a farlo apposta all’indegna gazzarra antieuropea, scatenata nel parlamento italiano con la pretestuosa battaglia contro il “fondo salvastati”, ha fatto riscontro la pazza performance antieuropea dell’elettorato britannico.

Le reazioni sono ben sintetizzate dal giornalista citato all’inizio: Trump ha twittato congratulandosi per la vittoria dell’amico Boris (come volevasi dimostrare); la sterlina già ai primi exit poll è schizzata rispetto al dollaro a livelli che non si vedevano da tempo (la finanza se ne frega della politica); a Bruxelles, ormai rassegnati all’addio britannico, tirano un sospiro di sollievo per la ritrovata chiarezza politica a Londra (la realpolitik vince sempre). La politica italiana al momento tace e forse una sua consistente parte, sotto sotto, è soddisfatta. Chi si contenta gode. Tutti cercano di vedere il bicchiere mezzo pieno delle loro convenienze particolari. Io vedo il bicchiere vuoto degli interessi generali.