Lo star trek vaticano

Dai giochi a quiz televisivi, per quel poco che (s)fortunatamente di essi seguo, emerge clamorosamente l’ignoranza dei concorrenti in materia religiosa: sanno tutto sui divi del cinema e non sanno un bel niente di bibbia e vangelo. Sintomo di una disaffezione, culturale prima che esistenziale, verso i temi religiosi, di una incolta laicità che prelude alla mancanza di valori e ad uno stile di vita gretto e superficiale. Non preoccupa tanto la calante partecipazione alle pratiche religiose, ma la scarsa attenzione ai massimi sistemi della vita.

Come mai allora hanno tanto successo e fanno tanta audience e cassetta i documentari (?), le fiction, i film, le serie cinematografiche e televisive sulla figura e la vita del papa e/o dei papi? All’interno della Chiesa col papato di Wojtyla si è aperta una fase storica di forte personalizzazione accentratrice: parlare di religione cattolica vuol dire parlare del papa. Tendenza sbagliatissima e pericolosa. Sbagliatissima perché il papa non è la Chiesa e la Chiesa non è il papa: il discorso è molto più comunitariamente articolato e religiosamente complesso. Pericolosa perché si mette la fede in Dio alla mercé del carismatico fascino papale e della sua capacità di bucare il video e di trascinare i cuori e le masse.

Quando Gesù si accorgeva di essere in odore di successo popolare, si ritirava in preghiera e si sottraeva al facile consenso della folla che lo stringeva da tutte le parti. I papi sembrano invece cercare il contatto, peraltro mediatico, con le masse, sono portati alle radunate oceaniche delle quali è difficile capire cosa rimanga nell’animo dei singoli al di là dell’entusiasmo del momento. Sono passati dalla prigionia alla smania di visitare il mondo intero: la tela della realpolitik vaticana non è più tessuta solo nelle stanze della curia, ma a margine e dei viaggi papali.

Ricordo con tanta nostalgia il primo breve e semplice viaggio in treno di papa Giovanni XXIII da Roma a Loreto e sembrava già un fatto rivoluzionario e forse lo era assai più delle odierne papali circumnavigazioni del globo. Strada facendo infatti i pellegrinaggi  sono diventati viaggi intorno al mondo, acquisendo indubbia influenza etico-politica, ma perdendo progressivamente carica kerigmatica e testimonianza dirompente.

Di fronte a questa insistente ostentazione di protagonismo la cultura ufficiale non può che sbizzarrirsi a trattare il papa come un divo costantemente sfilante sul red carpet globale. Generalmente non ne esce un’immagine edificante del papato e della curia romana: prevalgono le trame, gli intrighi, le manovre, le macchinazioni, i complotti, le congiure. Ma non è questo il dato mediatico preoccupante. Ben venga infatti un bagno di realistica, implacabile e dissacrante trasparenza, ma stanca e disturba l’ormai stucchevole e fantasioso retroscenismo.  Molto negativa è la pretesa di analizzare e ridurre la presenza e la vita della Chiesa guardando dal buco della serratura del Vaticano o costruendo surreali, e talora macchiettistiche, rappresentazioni delle vicende ecclesiali.

Papa Francesco è riuscito a volgere in chiave rinnovatrice la sovraesposizione mediatica papale: coniuga la superficiale attenzione verso la sua persona con il richiamo alle scelte evangeliche più genuine e profonde. Non basta: corre comunque il rischio di meteorizzare la sua ventata di novità senza istituzionalizzare le riforme e lisciando comunitariamente solo il pelo ai cattolici catturati dal suo indubbio appeal. Egli gode di grande popolarità, di enorme attenzione a tutti i livelli: se le è conquistate con una genuina e coraggiosa scelta, anche se talora contraddittoria (urlante ad extra e balbettante ad intra), a favore dei poveri e degli oppressi. Lo stanno (lo stiamo), suo malgrado, banalizzando e trasformando in una star. È pur vero che il mondo gira in un certo modo, ma vale anche per il papa l’invito evangelico ad essere nel mondo ma non del mondo.