L’erba dei condannati può essere verde

Come ebbe a dirmi un sacerdote impegnato nell’ambiente carcerario, anche nel più incallito dei delinquenti c’è un filo d’erba, un seme buono da cogliere e sviluppare. Queste parole così piene di misericordia e speranza mi sono tornate alla mente mentre leggevo le cronache di un attacco terroristico a London Bridge, nel pieno centro di Londra, che ha rigettato la capitale britannica, e un po’ tutto l’occidente, nella paura del terrorismo. Un uomo ha assalito alcune persone con un coltello. Poi è stato circondato da alcuni passanti uno dei quali lo ha affrontato scaricandogli addosso il contenuto di un estintore di anidride carbonica.
Alla fine è arrivata la polizia che lo ha ucciso a colpi di pistola tra la folla che filmava con i cellulari l’esecuzione.

Il fatto curioso è che uno di quegli eroi che ha difeso una donna dal coltello dell’aggressore è un assassino condannato per aver ucciso a coltellate una donna.  L’aggressore infatti, prima dell’arrivo della polizia, è stato affrontato e bloccato da alcuni civili. Uno di questi eroi, che si è buttato addosso al terrorista cercando di salvare la vita di una donna, è James Ford, un assassino che da poco ha ottenuto – come il terrorista – la libertà vigilata. lo rivela il Mail online. Uno strano gioco del destino ha voluto che proprio lui, condannato per aver ucciso una donna a coltellate, diventasse eroe per un giorno per aver difeso una donna dal coltello di Usman Khan. Ora 42enne, Ford è stato incarcerato a vita – con una pena minima di 15 anni – nell’aprile 2004 per l’omicidio di Amanda Champion, strangolata e sgozzata: il suo corpo fu trovato abbandonato su un mucchio di rifiuti vicino alla sua casa di Ashford, nel Kent, nel luglio precedente. Aveva 21 anni, ma un’età mentale di 15.

Ai tempi del delitto la polizia non aveva indizi, la svolta nelle indagini arrivò quando un dipendente dei Samaritani – infrangendo la rigorosa politica di riservatezza dell’organizzazione – confidò alla polizia che Ford (allora operaio in fabbrica e lottatore amatoriale) aveva telefonato decine di volte confessando di avere ucciso una ragazza e minacciando di suicidarsi. Una volta arrestato, non ha mai dato spiegazioni al suo gesto.

I parenti della donna uccisa hanno saputo solo ieri, vedendo i video in televisione, che era stato liberato. Commentando l’accaduto, hanno dichiarato di non considerarlo affatto un eroe, ma un assassino e di essere contrari alla sua liberazione. Non si può certamente pretendere da loro un atteggiamento diverso e immediatamente comprensivo. Gli eventuali percorsi perdonisti hanno bisogno di tempo per maturare, diversamente non sarebbero umanamente e nemmeno religiosamente credibili.

Certamente e inevitabilmente, di fronte a questo atto terroristico commesso da un soggetto in libertà vigilata, viene spontaneo mettere in discussione questo istituto e magari l’uso un po’ troppo disinvolto che ne viene fatto. Però c’è il rovescio della medaglia: non solo la concessione di questo beneficio è stata probabilmente positiva per l’altro soggetto coinvolto nell’episodio, ma ha avuto un effetto drammaticamente benefico sulla società, salvando la vita a una terza persona che poteva venire accoltellata, aggravando ulteriormente il bilancio tragico dell’episodio (due morti e tre feriti fra gli aggrediti, oltre l’aggressore).

Morale della (non) favola: alla fine di tutto e tutto considerato, ciò che può contribuire alla rieducazione di un condannato, anche il più incallito delinquente, non è mai sbagliato, anche se esiste il rischio di ottenere a volte l’effetto contrario. La questione è molto delicata, ma deve essere affrontata con umana comprensione e sociale lungimiranza. Non si tratta di buonismo ad oltranza, ma di scelta costituzionale: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Chi ha inserito questa norma nella nostra carta costituzionale non era un buonista, ma un politico serio ed avveduto.