Il mes…saggio subliminale

La più importante novità e discontinuità del governo Conte II rispetto al Conte I avrebbe dovuto essere costituita dai rapporti con l’Unione Europea improntati alla fiducia e alla collaborazione: un indirizzo filoeuropeo che sostituiva la linea euroscettica capitanata dalla Lega.

I presupposti sembravano esserci: un ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, convintamente europeista e ben visto a Bruxelles per i suoi trascorsi in Europa; un commissario italiano all’economia, Paolo Gentiloni, introdotto nei meccanismi istituzionali ed in possesso dell’esperienza e della preparazione per ricoprire questo incarico; la presidenza del Parlamento europeo ricoperta da David Sassoli, personaggio di garanzia e di aiuto per un passo avanti nell’integrazione italiana a livello comunitario.

C’era stato anche un fatto propedeutico alla costituzione del governo giallo-rosso: il voto favorevole dei pentastellati nei confronti di Ursula von der Leyen quale nuova presidente della Commissione Europea, al punto da far auspicare a Romano Prodi la formazione di una vera e propria “coalizione Ursula” alla base del governo italiano. Non fu proprio così, ma tutti videro qualcosa di nuovo nell’aria europeista governativa.

A distanza di qualche mese con i nodi che inevitabilmente vengono al pettine, queste fiduciose premesse stanno andando in crisi: è facile infatti essere europeisti a parole, ma, quando si va sul concreto, emergono dubbi, perplessità e incertezze. La trattativa sul fondo salva-stati sta facendo da detonatore, da causa scatenante della crisi nei rapporti fra M5S e PD sulla materia europea. È difficile capire fin dove lo scontro sia un motivo squisitamente politico addotto dai grillini per recuperare visibilità e identità rispetto ai democratici che hanno oggettivamente in mano le leve per governare la presenza italiana nella UE, oppure il ritorno a galla degli storici tentennamenti pentastellati in materia di adesione alla Comunità, sballottati fra la pretenziosa e presuntuosa smania indipendentista e la imprescindibile disponibilità a vivere in Europa.

Fatto sta che nel governo non c’è accordo sul Mes, la tensione è alta e tutto viene rimesso al Parlamento, che dovrà ratificare o meno gli accordi negoziati dal governo e soprattutto dal ministro Gualtieri. Niente rinvii, ma tanto scetticismo pentastellato che potrebbe trovare pericolose sponde nei gruppi parlamentari in costante subbuglio. Non mi convincono le motivazioni di merito sui rischi che la riforma del Mes comporterebbe per la stabilità economica del nostro Paese: certo, se andiamo avanti con la riserva mentale di non ridurre il debito pubblico e di fregarcene altamente delle regole, abbiamo di che temere, ma se invece trattiamo ed agiamo con trasparenza e buona volontà, nessuno avrà interesse a mettere in difficoltà l’Italia. Bisogna scegliere se giocare con le armi della diplomazia oppure bluffare con i messaggi subliminali del sovranismo riveduto e corretto. Dobbiamo essere furbi o fare i furbi? Sembrerebbe la stessa cosa, invece…

Mio padre, nella sua generosa e convinta ingenuità, teorizzava che il tifoso, se si comporta correttamente o almeno evita certi eccessi e certe intemperanze, può recarsi in qualsiasi stadio del mondo senza correre rischio alcuno e senza rinunciare a sostenere la propria squadra. In effetti diverse volte eravamo andati in trasferta, avevamo seguito il Parma in altri stadi, senza soffrire spiacevoli inconvenienti. Era così sicuro della sua teoria che una volta mi consentì di portare la bandiera crociata artigianalmente confezionata con un manico da scopa. Era lo stadio Braglia di Modena, derby di serie B: non riuscii neanche a spiegare la bandiera ed a sventolarla, che il Parma era già sotto di un goal e mio padre, un po’ grilloparlantescamente, mi disse: “A t’ äva ditt äd lasärla a ca’, ch’ l’era méj”. Il discorso vale anche per i ben più importanti derby con i partner europei. A buon intenditor poche parole.