Gli sputi razzisti e malefici

Mi auguro vivamente che il fatto non sia vero o che almeno sia stato esagerato, perché diversamente siamo veramente alla follia. Una neonata nigeriana muore in ospedale, partono insulti razzisti alla madre disperata. La prima istintiva reazione è quella dell’incredulità di fronte all’insensibilità verso la sofferenza di una madre che aveva perso la figlia.

Riporto la cronaca in estrema sintesi, prendendola dal quotidiano digitale “affaritaliani” (già la denominazione della fonte potrebbe essere molto significativa e provocatoria). Una madre disperata per la morte della sua bambina di 5 mesi urla di dolore nella sala d’attesa. Peccato che al dolore della donna i presenti in sala abbiano risposto solo con commenti razzisti. È successo la mattina di sabato scorso, 14 dicembre a Sondrio, dove la mamma della piccola si è rivolta al pronto soccorso perché la bimba non respirava normalmente. Purtroppo i medici non hanno potuto salvare la bimba e la madre ha iniziato a urlare e piangere la sua disperazione. Da qui gli insulti razzisti dei presenti testimoniati da una giovane che era al pronto soccorso per un malore e che poi ha denunciato la vicenda su Facebook. “Dalla sala d’attesa iniziano commenti di ogni tipo. Chi parla di riti tribali, chi di satanismo, chi di scimmie, chi di ‘tradizioni loro’, chi di manicomi. Giudizi, parole poco appropriate, cattiveria, tanta – ha spiegato la ragazza sui social -. La tristezza ha iniziato a invadermi. Nel frattempo ho sperato più che mai che calasse il silenzio fra le voci insopportabili e malvagie di quegli individui. E invece no – prosegue la ragazza su Facebook -, anche di fronte alla morte di un’innocente, le voci hanno continuato. La più tremenda è stata: ‘Tanto loro ne sfornano uno all’anno’”.

Altro che sardine, mi sembra che ci vogliano delle balene per stigmatizzare questo strisciante razzismo. Il movimento di piazza che sta prendendo piede è sostanzialmente una denuncia verso la degenerazione antidemocratica del sistema politico. Prima della politica viene l’etica, vengono i valori morali. Ebbene li stiamo perdendo e allora, poi, non ci possiamo lamentare se la politica si accoda o addirittura ci spinge su queste strade sconnesse.  Non mi sento di minimizzare o di ridimensionare questi discorsi considerandoli come la follia di pochi: temo siano la punta di un iceberg molto profondo.

La cattiveria ci sta offuscando cuore e cervello. Salto di palo in palo. Ho ascoltato le invettive del pubblico fiorentino verso l’allenatore dell’Inter Antonio Conte: pura e cattiva demenza. Il personaggio in questione non è certo un esempio di equilibrio e misura nello svolgimento della sua professione, di qui ad investirlo di gratuiti improperi il passo è troppo lungo.

Ed a proposito di allenatori ne voglio citare uno del Parma di molto tempo fa, un certo Canforini, tecnico che dalle formazioni giovanili era approdato alla prima squadra. Le cose obiettivamente non andavano bene, la squadra era indiscutibilmente in crisi e, succedeva purtroppo anche allora, scattò la contestazione dei tifosi. Ognuno è libero di esprimere le proprie critiche, più che mai in un ambiente come lo stadio, ma a tutto c’è un limite. Al termine dell’incontro, finito molto male per il Parma, l’allenatore Canforini fu accolto all’uscita dagli spogliatoi da una pioggia di sputi. Mio padre lo imparò il giorno successivo dalle cronache del giornale, perché evitava scrupolosamente i dopo-partita più o meno caldi. Ne rimase seriamente turbato dal punto di vista umano e reagì, alla sua maniera, dicendomi: “E vót che mi, parchè al Pärma l’à pèrs, spuda adòs a un òmm, a l’alenadór? Mo lu ‘l fa al so mestér cme mi fagh al mèj. Sarìss cme dir che se mi a m’ ven mäl ‘na camra al padrón ‘d ca’ al me dovrìss spudär adòs! Al m’la farà rifär, al me tgnirà zò un po’ ‘d sòld, mo basta acsì.”

In effetti devo aggiungere che mio padre esercitava il mestiere di imbianchino. Da uomo quegli sputi se li era sentiti addosso. Non poteva concepire un’offesa del genere, soprattutto in conseguenza di un fatto normalissimo anche se spiacevole: perdere una partita di calcio. E continuò dicendo: “Bizòggna ésor stuppid bombén, a ne s’ pól miga där dil cozi compagni”.

Chissà cosa direbbe della scena svoltasi nella sala d’aspetto di un ospedale? Ospedale o stadio, madre nigeriana o allenatore di calcio, la solfa è sempre quella ed è sempre più brutta. C’è da avere paura, non certo degli immigrati, ma di noi stessi. E magari chi ha pronunciato quelle squalide frasi, avrà il coraggio di sedersi alla gioiosa tavola del suo cenone natalizio…