Deus ex machina o Deus ex praesepi

La tradizione prevede per la festa di Natale ben tre messe con la presentazione di brani evangelici diversi: quella molto suggestiva “della notte”, stringatamente cronachistica dell’evento, quella “dell’aurora”, rigorosamente riservata allo stupore degli umili, quella “del giorno”, fortemente occupata dalla teologia giovannea.

L’età e la pigrizia mi hanno consigliato di puntare sulla celebrazione “del giorno”, ripiegando sul video televisivo per la messa della mezzanotte, peraltro anticipata di un paio d’ore. Mi sono imbattuto nella solita grandeur: il Vescovo di Roma entra in processione, la celebrazione eucaristica è preceduta dal canto della Kalenda, al termine del quale si suonano le campane e si accendono le luci. In una Basilica gremita di fedeli, concelebrano la messa con il Papa, all’«Altare della Confessione», cardinali, vescovi e sacerdoti. Il tutto mixato alla perfezione con una perfetta scenografia ed una sapiente regia in cui però vi era un elemento di “disturbo”: la statuetta di Gesù Bambino, che non si capiva cosa ci stesse a fare.

I riti celebrati in Vaticano, in S. Pietro a Roma, offrono testardamente una pesante spettacolarizzazione; si ha la sensazione di assistere ad assurde messe in scena. Ne va della credibilità dell’evento celebrato, che viene prepotentemente snaturato e sofisticato. Mi sono inevitabilmente irritato, ho spento il video e ho ripiegato sulla rilettura dell’impostazione comunitaria del carissimo amico don Luciano Scaccaglia.

Lui riusciva a creare un palpabile clima di familiarità, fatto di piccoli atteggiamenti capaci però di integrare tutti nella comunità: tutto serviva a sgelare, a “sgessare” la ritualità, riconducendola alla spontaneità. Si trattava del coraggio di fondere il sacro con la vita. E allora tutto faceva credibile corona alle cose coraggiose e provocatorie che diceva nell’omelia.

Papa Francesco, l’ho letto il mattino successivo, ha detto parole bellissime, sintetizzabili in una stupenda espressione: «la luce gentile ha vinto le tenebre dell’arroganza umana». Ma esiste una cesura tra l’ambiente liturgico, così pomposamente ricco e grandioso, e il Natale evangelico, così paradossalmente povero e umile. Che peccato! Un mio insegnante, quando costruiva assieme agli alunni un discorso interessante, coinvolgendoli in prima persona, se qualcuno diceva una parola sbagliata, si fermava e malinconicamente affermava: «Rovinato tutto!».  In san Pietro non sono sbagliate le parole, ma è rovinoso il clima.

A quando, papa Francesco, una ventata di aria fresca anche in questo campo? A quando una decisa sforbiciata a questa pesante e fuorviante ritualità? A quando una iniezione di sobrietà nell’esagerata e smodata liturgia vaticana? A quando il licenziamento dell’insopportabile ed impettito maestro di cerimonie, protagonista instancabile di un marcamento a uomo del pontefice ovunque celebri una messa? A quando un po’ di “sano disordine” esistenziale nel contesto del “finto e burocratico ordine” rituale?  Poi entriamo in certe chiese periferiche e torniamo a terra, per constatare la routinaria pochezza di messe sbrigativamente ed anonimamente finalizzate solo al tagliando di adempimento del precetto festivo. Da una estremità all’altra: dalla vuota enfasi rituale alla banalizzazione precettistica.

Mi sono riconciliato col Natale riflettendo nel merito dell’omelia di papa Francesco, così piena di significato. Ma il rammarico è aumentato. Dio ha scelto di andare in direzione contraria rispetto ai nostri piani. Il Figlio di Dio vuole nascere sulla paglia, tra gli animali della campagna, davanti a qualche pastore. E allora perché vogliamo rovinare tutto trasformando questo evento della semplicità divina in un assurdo inno alla grandezza umana? Mi si obietterà che la liturgia è fatta di simboli e occorre saper leggere dietro i simboli, non bisogna fermarsi al dito, ma andare alla luna. Nel caso però bisogna ammettere che il dito non indica la “purezza della luna”, ma la truccata immagine della terra.

Mio padre sosteneva che per accedere alle rappresentazioni teatrali non occorreva l’abito da sera ma il biglietto d’ingresso. Se la messa solenne diventa una cerimonia, per partecipare non serve il biglietto della fede, ma basta l’abito delle convenienze. E tutto diventa una grande, colossale parodia, dietro e dentro la quale c’è posto anche per il tanto e giustamente criticato Natale consumistico, zuccherato e buonista.