Alla vignettistica riscoperta del totem matrimoniale

Un mio simpatico conoscente mi sussurrò, durante la messa in cui l’omelia affrontava il problema del matrimonio, una confidenziale battuta: “Ormai non si vuole sposare più nessuno, rimangono solo gli omosessuali e i preti”. Osservazione piccante di una realtà in rapida e paradossale evoluzione.

Un amico scrupolosamente religioso all’inverosimile, invitato a partecipare ad un matrimonio celebrato civilmente in municipio, fu preso dal dubbio se aderendo all’invito potesse in qualche modo avvalorare la scelta di snobbare un sacramento e arrivò a chiedere consiglio al suo confessore. Questi, assai meno integralista e molto aperturista, lo fulminò con una risposta tra il serio ed il faceto: “Non preoccuparti, non si sposa più nessuno, almeno questi tuoi amici contraggono il matrimonio dal punto di vista civile: è comunque un impegno da salutare con gioia…”.

Un tempo si contavano sulle dita di una mano quanti non si sposavano in chiesa, anche i non credenti finivano, per piaggeria nel confronti del consorte, per non impoverire il cerimoniale, per completare la festa, per opportunismo sociale, col dichiararsi diversamente credenti (in Dio e non nella Chiesa), mettendo il sacerdote in un imbarazzante situazione, generalmente, tranne pochissimi e clamorosi casi a mia conoscenza, avviata su un compromessone religioso del tipo: ministri del sacramento del matrimonio sono gli sposi, quindi, tutto sommato, cavoli loro, se la vedranno col Padre eterno qualora si sentisse preso in giro.

E la proposta di matrimonio? Un tempo avveniva, dopo l’incontro con i rispettivi potenziali suoceri, con tanto di anello, mazzo di fiori e inginocchiamento: almeno così prevedeva il vignettistico ma realistico cerimoniale, che, tutto sommato, aveva un suo fascino ed un suo significato. Gli usi e le consuetudini hanno sempre un fondamento e non vanno mai presuntuosamente snobbati.

Nei rapporti tra politica e religione, il matrimonio è sempre stato un totem: vuoi per la sua indissolubilità, vuoi per la sua celebrazione, vuoi per la sua natura sacramentale, vuoi per tradizione, vuoi per mille altri motivi più o meno seri. La religione sta diventando nel peggiore dei modi un punto d’appoggio per sollevare consensi superficiali. L’uso a dir poco improprio dei simboli, dalle corone del rosario ai crocifissi, è entrato nell’armamentario più squallido da utilizzare per strappare qualche lacrima elettorale. Matteo Salvini si è visto rinfacciare questo comportamento, indirettamente blasfemo, perfino dalla gerarchia cattolica e dal presidente del Consiglio durante il benservito che gli porse elegantemente di fronte al Parlamento.

Evidentemente la Lega persevera “diabolicamente” su questa strada fastidiosamente e strumentalmente bigotta, che mischia religione, tradizione e politica in un vomitevole polpettone, che non ha assolutamente niente a che fare con l’ispirazione cristiana della DC e nemmeno con la vena spregiudicata ed affaristica dei rapporti fra Stato e Chiesa. Come noto, Alcide De Gasperi andava in chiesa per pregare, mentre Giulio Andreotti andava in chiesa per confabulare e brigare coi preti. Fatte le debite distinzioni, entrambi avevano una motivazione “seria”. Oggi tutto è pacchianamente giocato sul filo del ridicolo con l’intento di lisciare il pelo a quel po’ di religione rimasta nelle corde del popolo italiano.

Qualche giorno fa il deputato leghista Flavio Di Muro è intervenuto in apertura di seduta parlamentare sull’ordine dei lavori e a sorpresa ha mostrato l’anello e ha fatto la proposta di matrimonio ad Elisa seduta nelle tribune di Montecitorio. Le cronache dicono di grandi applausi e di un imbarazzato richiamo del presidente Fico (”Deputato Di Muro, capisco tutto, però, usare un intervento per questo…Non mi sembra il caso). Auguri e figli maschi! Quando ho letto questa notizia ho sorriso ed ho rivolto un pensiero benevolo agli interessati, come si fa coi bambini quando escono con qualche simpatica trovata fuori luogo.

Partecipai da bambino al matrimonio di una mia carissima cugina: al momento della foto davanti alla torta, mi misero in piedi sulla tavola. Io ero abituato, in situazioni analoghe a recitare la poesia del momento: non avendone una pronta per l’occasione, recitai spontaneamente quella di Natale, ottenendo un successo enorme da parte degli sposi e dei convitati.  Ero piccolo e poteva starci benissimo.

Flavio Di Muro non è un bambino e non è nemmeno una persona qualsiasi: si è alzato tra i banchi di Montecitorio e ha utilizzato quella insolita tribuna per chiedere a Elisa di sposarlo. Non so cosa abbia risposto Elisa, ma evidentemente dal momento che era presente in tribuna, presumo si trattasse di una scenetta combinata. Ci ho riflettuto: sarà soltanto un caso di infantilismo prematrimoniale, di goliardata parlamentare, di scommessa tra amici, di provocazione tradizionalista? Oppure sarà un’altra trovata del bigottismo etico-religioso sparso dalla Lega, che un tempo attaccava i vescovoni e oggi lecca i cattoliconi?