Tra populismo religioso e cultura evangelica

Circola un’analisi di stampo manicheo, con qualche fondamento di verità, sul rapporto tra cattolici e politica in questa fase storica italiana e, in un certo senso, europea ed internazionale. In base ad una approssimativa e schematica descrizione, il mondo cattolico italiano sarebbe diviso fra simpatie populistiche filo-leghiste e fermenti culturali democratici, critici verso i partiti dell’attuale sinistra, ma comunque collocabili culturalmente in quell’area di riferimento. In mezzo, spettatrice assai interessata, la gerarchia cattolica che, come si usa dire, “la darebbe su” all’alleanza pentapiddina in chiave antileghista.

In buona sostanza l’impalpabile e incalcolabile mondo cattolico sarebbe tentato, a livello di base, da una destra strumentalmente schierata in difesa dell’identità cattolica e delle sue tradizioni etiche e culturali, fuorviato dall’egoismo nazionalista truccato dalla simbologia religiosa e impastato con una socialità neo-fascista. Le avanguardie più sensibili e storicamente avvedute starebbero invece borbottando di una profonda riscoperta dei valori cristiani incarnati nella politica, rilanciata criticamente nell’area del centro-sinistra. La gerarchia, assai più pragmatica e immediata, senza immischiarsi troppo nell’agone politico e nel dibattito culturale a monte di esso, si accontenterebbe al momento di appoggiare silenziosamente il nuovo equilibrio Pd-Cinquestelle, rilasciando una cambiale in grigio al premier Giuseppe Conte di estrazione cattolica.

Non so quanta convinzione esista nella base cattolica innamorata della Lega e frastornata dai rosari e dai crocefissi salviniani: si dice che, soprattutto in certe aree del nord, con l’assenso del “basso clero”, questo innamoramento sia piuttosto consistente in termini culturali (?) e numerici. Se e in quanto esista questo fenomeno, lo vedo con grande preoccupazione in base a sciagurati parallelismi storici (il fascismo prima e il berlusconismo poi) e facendo i debiti scongiuri di tipo evangelico. Non credo abbia grande consistenza, ma vada nel segno di un ragionamento che purtroppo è ancora di moda. È questa la mia angoscia: l’attenzione dei cattolici verso una deriva destrorsa, che col Vangelo c’entra come i cavoli a merenda. In un certo senso mi disturba molto meno l’(im)previsto assist al leader della Lega da parte del cardinal Ruini, il quale in un’intervista al Corriere della Sera, in mezzo a critiche alla linea di Bergoglio, in dissenso sulle conclusioni del recente sinodo in materia di delibato sacerdotale, con la solita prudenza al limite della ignavia in materia politica, trova il modo di sdoganare Matteo Salvini: «Non condivido l’immagine tutta negativa che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé; e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti. Il dialogo con lui mi sembra piuttosto doveroso, anche se personalmente non lo conosco e quindi il mio discorso rimane un po’ astratto. Sui migranti vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo; senza per questo sottovalutare i problemi che oggi le migrazioni comportano».

La Chiesa può essere considerata da due punti di vista. Se la viviamo come istituzione fine a se stessa, legata alla sua tradizione ed alla gerarchia che la governa, dobbiamo concludere che essa possa purtroppo essere di destra, nel senso della conservazione del potere e dei suoi meccanismi. Se invece la intendiamo come comunità che vive sulla base del Vangelo, la dobbiamo interpretare come autentica spina nel fianco del potere e come alleata ante litteram di tutte le povertà ed emarginazioni, impegnata nel combatterle promuovendo un impegno politico ad hoc.

Se tanti cattolici si schierano in difesa di una Chiesa clericale e conservatrice vuol dire che il Vangelo serve solo a condire le adunate liturgiche. Don Andrea Gallo fu chiamato a rapporto in Vaticano e si difese affermando di applicare il dettato evangelico, niente di più e niente di meno. Il cardinale che lo stava esaminando gli rispose: “Se la metti su questo piano…”. Al che il pretaccio ribatté ironicamente: “E dove la devo mettere?”. La risposta di certo clero, oserei dire di stampo trumpiano, è che abbiamo i nostri poveri e ci bastano. Tutto (non) torna.

Spero che i fermenti culturali di cui tanto si parla e poco si capisce servano a spostare il discorso da questa deriva pseudo-sociologica ad una crescita culturale a livello di ispirazione e di scelte. Non mi sembra assolutamente il caso di vagheggiare nuovi partiti cattolici o correnti cattoliche all’interno dei partiti di sinistra. Bisogna trovare modi e spazi di testimonianza cristiana a livello sociale e politico chiamando a raccolta le prime linee impegnate e protagoniste in senso progressista e aperturista. Dirlo è facile, farlo è molto difficile. Non aspettiamoci che queste novità possano scendere dall’alto di una parte della gerarchia pur intelligente e sciacquata nell’Arno dell’attuale papato. Chi debba muoversi non so, le coscienze lo impongono, le volontà debbono essere trovate, le idee non mancano. Ai rosari branditi sulle piazze bisogna contrapporre il Vangelo testimoniato e tradotto nelle pillole della politica.