L’armadio della fobia meteorologica

Non ho alcuna intenzione di iscrivermi al partito negazionista dei cambiamenti climatici, del riscaldamento terrestre e dell’inquinamento atmosferico e non vorrei quindi essere equivocato se non ne posso più delle continue notizie ansiogene sulle previsioni del tempo. Un tempo si temeva che fossero truccate per non disturbare i flussi turistici, oggi mi viene il dubbio che siano cavalcate da un’informazione esagerata, che sfrutta le notizie sugli andamenti atmosferici a livello di vero e proprio business.

Un conto è predicare e adottare precauzione, cautela, attenzione, oculatezza, altro conto è puntare direttamente o indirettamente sull’allarmismo fine a se stesso. Mi sembra si stia esagerando! Siamo bombardati da un susseguirsi di allarmi, gialli, arancioni, rossi: la fine del mondo sembra essere imminente.   È pur vero che un segno evangelico di imminenza della fine dei tempi, da intendersi non tanto in senso cronologico, ma etico e morale, è rappresentato da calamità naturali come terremoti, carestie, pestilenze e fenomeni atmosferici terrificanti come tifoni e super tifoni, che sono anche il risultato del nostro modo irresponsabile di trattare uomini e natura. Tuttavia non bisogna cadere nella trappola del catastrofismo.

È altrettanto vero che è meglio soffrire per eccesso di zelo precauzionale che per incuria e rassegnazione, ma tutto ha un limite. Anche perché persino la neve sta creando il panico: quando ero bambino la neve abbondantissima accompagnava tutto l’inverno, condizionava anche allora la circolazione, la viabilità, la vita quotidiana, ma a nessuno veniva in mente, peraltro in periodi in cui si era tecnologicamente assai meno organizzati ed attrezzati, di trasformarla nello spauracchio esistenziale dell’inverno e finanche della primavera.

Il discorso delle alluvioni è decisamente e drammaticamente più preoccupante. Certo sarebbe meglio che invece di piangere sul latte versato, si facesse qualcosa di più in via preventiva. Sicuramente creare un clima di panico spargendo a piene mani allarmismo, non serve a niente e a nessuno. Forse abbiamo acquisito una mentalità illuministica tale per cui tutto dipende dall’uomo e quindi, quando si verifica qualche evento clamorosamente dannoso e disastroso, occorre cercare a tutti i costi un colpevole su cui scaricare le colpe. Non sono certo un fatalista, ma nemmeno un giustizialista climatico. Occorre equilibrio prima e dopo le sciagure: prima, per prevenirle nei limiti del possibile, dopo per non aggiungere angoscia ad angoscia. Basti pensare agli appelli mediatici a fornire immagini dei disastri: un tempo andavano a ruba le registrazioni pirata degli eventi musicali, oggi vanno a ruba le immagini pirata delle alluvioni. Tutto fa spettacolo!

In passato si sono colpevolizzati molti soggetti per non aver divulgato per tempo gli allarmi provenienti dalla protezione civile ed è quindi normale che gli amministratori e tutti coloro che hanno responsabilità a livello pubblico stiano dalla parte del manico e divulghino allarmi a piene mani. So di dirla grossa, ma se andiamo avanti così, forse si dovrà imparare a proteggersi dalla protezione civile.

Innanzitutto bisognerebbe distinguere ciò che, pur creando disagio e difficoltà, rientra nella norma e quindi non deve essere vissuto con le mani nei capelli, ma semmai  con le maniche arrotolate. In secondo luogo sarebbe oltre modo necessario mobilitarsi, impegnarsi, lavorare prima e non fare un gran casino dopo. In terzo luogo occorre chiarire che le scelte a favore della salvaguardia ambientale, climatica e territoriale presuppongono sacrifici e rinunce: cose che nessuno vuol fare. In questo bailamme ansiogeno alla fine chi ci rimette sono coloro che vengono effettivamente colpiti, davanti ai quali rimango veramente angosciato e paralizzato.

Mia madre, quando vedeva gente che rimaneva senza casa per effetto di eventi atmosferici, si commuoveva al punto da augurare a se stessa di morire piuttosto che vivere simili drammi. Attenti però a non fasciarsi la testa prima di cadere, lasciando nella cacca chi è caduto e spargendo ansia da probabili attacchi di caduta. Una mia anziana conoscente, quando aveva sentore dell’arrivo di un temporale si rifugiava dentro l’armadio. Non vorrei che ci stessimo chiudendo involontariamente e collettivamente in una sorta di armadio della paura, aggiungendo a quella dell’insicurezza economica e sociale, a quella verso gli immigrati, anche quella della precarietà atmosferica e climatica. Sono consapevole di avere toccato tasti delicati, spero di essermi spiegato e di non avere dato l’impressione di insensibilità e scetticismo e soprattutto di non aver aggiunto confusione a quella che già purtroppo esiste.