I populisti nostrani confabulano con Cina e Russia

Qualcuno arriva a sostenere che il Movimento 5 Stelle sia una scatola cinese. Mi riferisco alla versione di Annalisa Chirico sull’agenzia editoriale “Formiche”, alla cui maliziosa, ma obiettiva, analisi mi riferirò di seguito. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Nel caso dei rapporti fra pentastellati e Cina di indizi effettivamente ne esistono parecchi.

In novembre il leader del movimento Beppe Grillo ha svolto presso l’ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia una doppia visita: una cena con l’ambasciatore cinese Li Junhua, seguita da un incontro di oltre due ore nella sede diplomatica cinese a Roma. Cosa ci faceva in quella sede e a che titolo era lì: non penso lo avessero invitato per tenere alto il morale del personale dell’ambasciata.

Recentemente il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato ospite d’onore a Shangai dove ha brindato con il presidente Xi Jinping: ha parlato di Hong Kong come di un affare interno cinese. Si rende conto il nostro ministro di non essere un semplice turista alla ricerca di foto originali da mostrare agli amici? Il governo è d’accordo nell’alzare i calici con simili personaggi? Non ci si rende conto della inaccettabile strategia cinese?

Durante il periodo del primo governo Conte, Di Maio ha firmato il memorandum d’intesa per la Via della Seta: l’Italia è l’unico Paese fondatore dell’Unione europea ad aver sottoscritto un accordo che la stampa cinese ha celebrato come un successo geopolitico nazionale e che per l’Italia ha già comportato qualche vantaggio a livello commerciale. A che gioco giochiamo? Qui le responsabilità si allargavano al governo, titubante e chiaramente in difficoltà davanti ai partner europei.

Di Maio, promosso alla guida della Farnesina nel Conte II, ha nominato come capo di gabinetto Ettore Sequi, già ambasciatore italiano a Pechino. Non c’è di per sé niente di male, ma puzza tanto di eccessiva attenzione verso la Cina. Ettore Sequi sarà sicuramente un diplomatico di grande livello, ma proprio su di lui, condizionato da un certo curriculum, doveva cadere la scelta. Di tutti mi sembra l’indizio meno consistente, ma inserito nel contesto fa pendere la bilancia verso una pelosa attenzione filo-cinese.

Il 14 novembre scorso il ceo di Huawei Italia (Huawei è una società cinese impegnata nello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti, di sistemi e di soluzioni di rete e telecomunicazioni. È stata fondata nel 1987 e ha il quartier generale a ShenzhenGuangdong, in Cina), Thomas Miao, ha pronunciato il discorso di apertura dell’evento “Smart company” organizzato a Milano dalla Casaleggio associati, la società di Davide Casaleggio che, in quanto presidente, tesoriere e amministratore unico dell’Associazione Rousseau, gestisce la piattaforma informatica e incassa ogni mese trecento euro da ogni parlamentare grillino (per un totale di circa 700mila euro nel 2018). Il manager Miao è lo stesso che ad ottobre, in occasione della inaugurazione dei nuovi uffici romani del colosso cinese delle telecomunicazioni è comparso in una photo opportunity con il sindaco della capitale Virginia Raggi, accorsa in loco per celebrare l’evento. Si dirà che gli affari sono affari e che non è vietato dialogare con i manager di importanti società: quando però i fili di questi contatti legano gli affari a soggetti vicini o dentro alla politica, gatta ci può anche covare.

Il 15 novembre il blog di Grillo, silente sulle proteste di Hong Kong, ha ospitato un intervento negazionista sulla repressione cinese contro la minoranza uigura, turcofona e di fede musulmana, nella regione dello Xinjiang. Eppure un dettagliato report dell’Unione Europea del gennaio 2019 evidenzia “le profonde preoccupazioni dell’Ue sui diritti umani nello Xinjiang, anche in relazione alla detenzione di massa, alla rieducazione politica, alla libertà religiosa e alle politiche di sinicizzazione”. Per non parlare delle numerose segnalazioni da parte delle Nazioni Unite e di organismi come Amnesty International che mostrano come il governo cinese abbia trasformato la regione in “un enorme campo di internamento avvolto nel segreto”. Grillo e i grillini non sono i soli a starsene zitti di fronte alle latenti violazioni di diritti umani da parte della Cina, ciò non toglie che onestamente un bel vaffa dovrebbe andare anche in quella direzione.

Mentre i grillini sembrano fare la corte alla Cina, Salvini non riesce a sgravarsi di dosso i seri dubbi su un flirt sovranista con la Russia di Putin, sorti soprattutto dopo l’inquietante vicenda riguardante una trattativa per finanziare la Lega con tangenti ricavate da affari petroliferi fra azienda italiane e russe con l’intromissione di un faccendiere, tal Gianluca Savoini, assai accreditato come consulente salviniano e personaggio facente parte dell’entourage leghista. Il discorso è aperto sul piano giudiziario, ma costituisce un bruttissimo e probabile, anche se non provato, marchio di inaffidabilità politica.

“Matteo Salvini non può più tacere sui rapporti della Lega con la Russia. Ieri ‘Report’ ha raccontato i legami tra il suo partito e Mosca, ricordando ulteriormente come l’affare del Metropol non sia una questione di secondo piano, ma potrebbe rientrare in un progetto politico più ampio. A favore dei russi e contro l’Europa da abbattere a colpi di sovranismo. Del resto il ruolo di Gianluca Savoini nella Lega era già noto come ‘ambasciatore russo’. È trascorso oltre un anno dalla visita dell’allora ministro dell’Interno a Mosca: un chiarimento è necessario e non più rinviabile”. Lo dichiara la segretaria di Possibile, Beatrice Brignone, dopo la puntata di ‘Report’ sui rapporti tra Salvini e Savoini. “Finora da Salvini – aggiunge Brignone – sono arrivate solo battutine sui rubli che non si trovano. Un comportamento che alimenta più di qualche dubbio. Gli elogi a Putin non sono mai mancati: di per sé è già un fatto preoccupante. Noi ogni giorno rinnoviamo l’appello affinché dalla Lega giungano risposte serie alle domande poste in questi mesi”.

Non sono appassionato di dietrologia e quindi non mi sento di gettare manciate di fango, nemmeno su chi non si fa scrupolo di esercitare sistematicamente questo mestiere e su chi vuol far credere di essere un moralizzatore ed un innovatore della politica italiana. Mi limito a prendere atto di elementi piuttosto inquietanti e ad esprimere il mio disappunto sulla politica estera ondivaga e spregiudicata portata avanti da due forze politiche così tanto votate dagli italiani. Sembrano andare a gara nel tessere pericolosi rapporti con Stati al di fuori delle nostre tradizionali alleanze: lo facevano quando erano entrambe al governo, lo fanno ora dal governo e dall’opposizione.  Vogliono questi signori, mi riferisco a Grillo, Di Maio e Salvini, chiarire cosa stanno combinando: se stanno giocando a fare gli statisti, la smettano e tornino a giocare nei loro cortili; se le stanno combinando grosse, vadano vergognosamente a casa dopo averci rotto abbondantemente i coglioni. Se il premier Conte ha conquistato autonomia e credibilità, veda di chiarire ulteriormente i rapporti italiani con Russia e Cina, non tanto per fare un piacere a Trump, che ne sta combinando una più di Bertoldo, ma per stare correttamente in Europa e nelle alleanze storiche tessute dal nostro Paese. Questo era il più serio input del suo nuovo governo e allora…