Votare per crescere

Mi è sempre stato riconosciuto un certo carisma nel rapporto con i giovani, addirittura con i giovanissimi. Succedeva nelle associazioni cattoliche che ho bazzicato, nel mondo della scuola che ho purtroppo solo sfiorato da insegnante, nel campo professionale che ho calpestato per decenni, nel settore sociale che ho frequentato direttamente dopo il raggiungimento dell’età pensionabile. Riuscivo e riesco tuttora a dialogare con loro, a mettermi in sintonia, a comunicare la mia esperienza.

Preferisco quindi coltivare rapporti concreti col mondo giovanile piuttosto che teorizzare e pontificare sul modo di essere dei giovani d’oggi e di ieri. Quando lo faccio, tirato per la giacca dalle provocatorie circostanze, oscillo fra l’assegnare ai giovani una patente di benefica diversità rispetto alle generazioni precedenti e l’osservare criticamente la loro mancanza dei fondamentali della cultura e della politica in particolare.  Pretenderei magari di abbinare gioventù ed esperienza, dimenticando che il bello dei giovani è proprio quello di non essere condizionati e frenati dall’esperienza. Mio padre diceva argutamente: «Se un ragas al gaviss al sarvél ‘d n’omm, al ne sariss miga un ragàs…».

Diciamo pure che più i giovani sono “diversi” più svolgono la loro benefica funzione critica nei confronti della società. Se posso permettermi una valutazione generale sul comportamento giovanile odierno, trovo in essi una scarsa capacità di contestazione, conseguente al loro piatto conformismo rispetto alle proposte della società corrente. Quando li vedo assorti e alienati con le cuffiette alle orecchie, chiusi nella disperata ricerca del nulla informatico, mi prende una grande pena. Per fortuna c’è qualche impennata: ultima la contestazione ecologica, che mi lascia ben sperare.

Chiedo scusa per l’autocitazione. In un breve saggio pubblicato nella sezione “libri” del mio sito internet, intitolato “Dialogo tra un trolley ed uno smartphone” ho intentato un brillante processo ai giovani d’oggi tra luoghi comuni, forti provocazioni, pessimismo di maniera, ottimismo di facciata, realismo quasi disperato, lumi di speranza: dal bamboccionismo, con venature di sfigatismo, alle azioni coraggiose per la conquista dei diritti civili.

Il punto dolente è la politica: i giovani non riescono ad inserirsi negli schemi e tendono ad appartarsi, sottovalutando le istituzioni democratiche e la partecipazione ai processi decisionali. L’offerta politica è indubbiamente deludente, ma non c’è nemmeno da parte loro la domanda politica. Potrà servire concedere il voto ai sedicenni? Questa idea sta paternalisticamente mettendo sotto i riflettori i giovani. Non l’hanno chiesto loro, rischiano di subirlo quasi come un’imposizione, come un diritto gentilmente concesso e non come una conquista. Fossi giovane, mi sentirei quasi offeso e restituirei al mittente questo peloso regalo, che puzza di strumentalizzazione e di compromissione col potere costituito. Ma bisogna ragionare!

Viene prima la coscienza democratica o il diritto di voto? Viene prima la gallina della partecipazione politica o l’uovo della scheda elettorale nell’urna? Si è in grado a sedici anni di esprimere un giudizio sulla proposta proveniente dai partiti? Tutti dobbiamo essere in grado di partecipare e quindi ben venga l’apertura di nuovi spazi, ma il problema rimane quello della cultura politica, del come porsi di fronte alla società, della capacità critica nei confronti del sistema. Tutto sommato però meglio rischiare l’omologazione politica col voto che rifugiarsi nell’antipolitica inconcludente e contraddittoria dei venditori di fumo. Il voto conterà poco, ma viene da lontano, profuma di battaglie popolari, è un’occasione di crescita da non perdere. È un diritto per la conquista del quale tante persone hanno dato la vita: ricordiamocelo e viviamolo come un modo di essere uomini, donne e cittadini.