Le parole che coprono la musica

Speravo vivamente che il Governo Conte II si caratterizzasse per una maggiore discrezione a livello di contrasti interni: non mi illudevo che potessero miracolosamente sparire, ma che venissero esternati e gestiti con maggiore senso di responsabilità. Se infatti le clamorose contrapposizioni erano quasi la cifra del governo Conte I e su di esse veniva paradossalmente costruita la gara al consenso, per l’attuale governo la quotidiana rissa parolaia mette in seria difficoltà il già precario e risicato equilibrio politico-programmatico.

Tutti hanno la penosa necessità di distinguersi. Il M5S deve sbandierare continuamente la sua demagogia: su ogni argomento fa una sorta di controcanto rispetto alla linea emergente e, quando proprio non sa come contrapporsi, si rifugia nel taglio dei parlamentari, che è diventato lo specchietto delle allodole di questa stagione politica. Di Maio deve distinguersi dal premier Conte, che gli contende (il bisticcio di parole è voluto…) la leadership del movimento; le diverse correnti movimentiste scaricano sul governo le loro insoddisfazioni e frustrazioni; l’aria interna è piuttosto pesante e allora bisogna aprire le finestre governative (meglio il raffreddore a Conte che la polmonite al M5S).

Matteo Renzi vuol tenere viva la sua Italia e non tace un attimo in un continuo altalenare di promesse di fedeltà e di minacce di distinzione. Se il parlare troppo è il suo segno distintivo, questo vezzo è direttamente proporzionale alla necessità di trovare una propria identità: sì, perché ormai siamo al punto che prima si fonda un partito e poi se ne cercano le radici, ammesso e non concesso che esistano.

Il partito democratico, sgravato dal peso contestatore renziano, è relativamente più calmo, anche se le correnti non mancano e l’accordo col M5S è duro da digerire. In compenso, per il momento, parlano poco i ministri e forse parla un po’ troppo il presidente del Consiglio, che assomiglia a Roberto Baggio quando finalmente approdò alla nazionale: ogni giocata doveva stupire il pubblico, i colpi di tacco si sprecavano anche se non servivano a niente. Giuseppe Conte ha trovato un suo spazio, dovrebbe cercare di gestirlo con molta discrezione senza rovinare l’immagine che è riuscito a creare di se stesso.

In conclusione non ne posso più della politica parolaia e ho tanta nostalgia dei tempi in cui si discuteva nelle sezioni di partito e non si bevevano le chiacchierate mediatiche, in cui le tribune politiche televisive erano poche ma buone, in cui i giornalisti facevano il loro mestiere e non invadevano il campo delle primedonne, in cui i partiti facevano politica e la politica non faceva i partiti. Bei tempi, in cui, per dirla con Berlusconi, molti politici attuali sarebbero andati a pulire i cessi di Montecitorio, palazzo Madama e palazzo Chigi.