Le bandiere pentastellate

Mio padre credeva fermamente alle regole ed alla necessità di rispettarle, non sopportava di assistere impotente ai soprusi, arrivava ingenuamente ad illudersi di risolvere il problema dell’evasione carceraria apponendo un cartello “chi scappa sarà ucciso”.

A mio padre posso perdonare questi atteggiamenti a metà strada tra il serio ed il faceto, rientravano nel suo carattere e nella sua personalità, me li snocciolava con intento didattico, era perfettamente consapevole della loro fantasiosa inefficacia, ma dietro di essi voleva far passare insegnamenti fondamentali e valori imprescindibili.

Non posso al contrario capire il demagogico bisogno pentastellato di sventolare bandiere dietro le quali nascondere l’incapacità di fare politica: ultimo, per chi sventola e per chi si lascia abbindolare, è il discorso delle manette agli evasori, conditio sine qua non per approvare la manovra economica varata dal governo Conte. Se andiamo in ordine di tempo e mettiamo in fila le bandiere o bandierine del M5S, partiamo dalla decurtazione degli stipendi ai parlamentari, passiamo al reddito di cittadinanza, poi al taglio delle poltrone parlamentari per arrivare all’allargamento e innalzamento delle pene carcerarie per chi non paga le tasse.

Detto come va detto si tratta di cazzate spacciate per coraggiose novità, lontane mille miglia dall’avviare a soluzione i problemi. Pagare meno i parlamentari cosa risolve? Comporta la fuga dalla politica dei migliori, che trovano sicuramente di meglio da fare, disincentiva l’impegno dei politici, premia i fannulloni della categoria, punisce chi svolge seriamente il proprio compito istituzionale. Se mai ci fosse un risparmio sul piano strettamente finanziario, questo si tramuterebbe in un danno incalcolabile sulla produttività del Parlamento.

Il reddito di cittadinanza è una misura meramente assistenziale, un pannicello caldo per chi non trova lavoro e magari rischia di accontentarsi del pannicello e non si cura veramente cercando un’occupazione. Non è sbagliato di per se stesso, ma è sbagliata la logica politica e programmatica che lo enfatizza come panacea del male della povertà. Si tratta di un’elemosina di Stato sulla quale non si può campare a lungo. Molto più facile sventolare la bandiera del reddito di cittadinanza che varare politiche industriali ed occupazionali adeguate alla società moderna.

La drastica diminuzione del numero dei parlamentari è un premio all’antipolitica, tende a squalificare l’istituto parlamentare, getta un’aria qualunquistica di sfiducia verso la politica in genere. Il risparmio economico è risibile, soprattutto se confrontato con la minore rappresentatività degli eletti, con il depotenziamento del parlamento e della democrazia parlamentare, con la politica ridotta sempre più a mera cassa di risonanza di quei partiti che si vorrebbero far uscire dalla porta mentre rientrano dalla finestra.

Arriviamo per sommi capi alle manette per gli evasori. Siamo e restiamo sempre nella demagogia. Le sanzioni pecuniarie e penali esistono già, ma non si riesce ad applicarle: troppo grande il ginepraio fiscale, troppo facile nascondersi dietro un casino di norme assurde ed inutili, troppo pressapochistici i controlli, troppo accanimento verso chi cade sotto la mannaia degli adempimenti formali o comunque non riconducibili a vera e propria evasione, troppo lunghi i procedimenti giudiziari al termine dei quali, se c’era evasione, questa sparisce coi tempi biblici del contenzioso tributario peraltro molto discutibile nella sua configurazione e nella sua operatività.

L’evasione esiste, ma con lo spaventapasseri del carcere facile finiremo col penalizzare chi commette errori, chi si macchia di colpe veniali e scoraggeremo l’imprenditorialità sana, mentre quella dei farabutti rimarrà viva e vegeta. Se voglio essere sincero fino in fondo, devo soltanto sfiorare, per carità di Patria, il problema della Guardia di Finanza e di come si mostri spesso invischiata, anche nei suoi più alti gradi di comando, in fatti di corruzione: aveva ragione una mia spassosa zia, quando ingenuamente confondeva finanzieri e contrabbandieri, ritenendoli addirittura intercambiabili? Tutti ridevano, ma non c’era proprio niente da ridere. E dove non c’era corruzione (lungi da me, infatti, generalizzare) ho visto nella mia vita professionale molta impreparazione e inesperienza da parte degli organi di controllo del fisco. Ho sempre detto e ripeto che chi si trova a passare sotto l’esame della guardia di finanza deve rassegnarsi a vedersi contestare tutto, da Adamo ed Eva in avanti: così si crea molta evasione di carta che crolla a livello di contenzioso. Le cifre al riguardo parlano chiaro.

Non rimane che riporre le bandiere nell’armadio e ricominciare a fare politica seriamente. Come avvenne al sottoscritto calcisticamente parlando. Mio padre mi aveva insegnato che, dentro lo stadio, si rimane uomini non si diventa bestie e da uomini ci si deve comportare in ogni situazione. In effetti diverse volte eravamo andati in trasferta, avevamo seguito il Parma in altri stadi, senza soffrire spiacevoli inconvenienti. Mio padre era così sicuro della sua teoria che una volta mi consentì di portare la bandiera crociata artigianalmente confezionata con un manico da scopa. Era lo stadio Braglia di Modena, derby di serie B: non riuscii neanche a spiegare la bandiera ed a sventolarla, che il Parma era già sotto di un goal e mio padre, un po’ grilloparlantescamente, mi disse: “A t’ äva ditt äd lasärla a ca’, ch’ l’era méj”. Ne prendemmo altri due: un secco, inequivocabile tre a zero dai cugini modenesi.