La religione finanziaria

Ed eccoci di fronte all’ennesimo scandalo finanziario del Vaticano: siamo a livello di indagine riguardante alcune vendite immobiliari all’estero, in particolare case di pregio a Londra. Anche se non si registrano commenti ufficiali, la Santa Sede ha sospeso cinque funzionari: il direttore dell’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, istituita nel 2010 da Benedetto XVI; un influente prelato con ruoli apicali a livello di curia romana; tre dipendenti con incarichi di secondo piano negli uffici vaticani.

Gli investigatori starebbero analizzando alcuni flussi finanziari dei conti su cui transita l’Obolo di San Pietro, vale a dire le offerte fatte dai fedeli e inviate al Papa per essere redistribuite a sostegno della missione della Chiesa e delle opere di carità, ma anche e soprattutto per il sostentamento dell’apparato vaticano. Nel 2015 i conti e gli investimenti da fondi provenienti dall’Obolo avevano raggiunto la somma record di quasi 400 milioni di euro.

Quando volevo ironizzare sulla mia eventuale vocazione religiosa, ipotizzavo di entrare in convento e, in base alla mia formazione ed esperienza professionale di carattere economico, di essere immediatamente adibito alla tenuta dei conti ed all’amministrazione dei fondi riguardanti il convento stesso. Mi bastava questo, pur peregrino, pensiero per escludere categoricamente da parte mia, al di là di ogni altra considerazione, la presa in considerazione di una scelta di stampo squisitamente religioso e clericale. Non ho mai capito infatti i preti e i frati che, anche in buona fede, trafficano in campo monetario: se avevano voglia di fare soldi potevano tranquillamente rimanere allo stato laicale, salvo il dovere anche per i laici, come minimo, di accumulare ed usare correttamente il danaro.

Ricordo un triste episodio di tanti anni fa: nella chiesa di san Giovanni evangelista una statua del Sacro Cuore aveva cominciato a piangere e sanguinare. Mi recai immediatamente sul posto e vidi effettivamente qualcosa di strano, anche se poi ufficialmente l’autorità religiosa competente escluse categoricamente ogni e qualsiasi manifestazione di ordine soprannaturale. Ma il problema che oggi voglio richiamare è un altro. Immediatamente, visto il notevole afflusso di fedeli, una manina diabolica alzò considerevolmente la tariffa per l’accensione dei ceri. Per fortuna il provvedimento rientrò dopo alcune ore, ma ne rimase la traccia simoniaca.

La tentazione del danaro è sempre e comunque molto forte, a tutti i livelli e in tutti gli ambienti, purtroppo anche in quelli religiosi. Però a tutto c’è un limite. Non mi piace il tariffario per le celebrazioni liturgiche, peraltro ormai in disuso, ma, se l’obolo di San Pietro venisse utilizzato per fare speculazioni immobiliari, la cosa sarebbe di una gravità incredibile.

Benedetto XVI era sicuramente già intervenuto per sfrondare e bonificare il bailamme finanziario del vaticano: forse fra i motivi delle sue dimissioni c’era anche la presa d’atto del marciume esistente nella Chiesa e la inadeguatezza della sua persona ad affrontarlo in modo deciso ed efficace. Lo capisco! Papa Francesco è intervenuto con piglio più coraggioso, ma il potere finanziario e burocratico annidato nei meandri della Santa Sede è fortissimo. Le riforme strutturali e il ricambio dirigenziale scivolano come gocce d’acqua sui vetri della finanza vaticana. Papa Giovanni Paolo I, il cardinale Luciani, sono convinto sia crollato anche fisicamente davanti alle malefatte dello Ior ed agli scandali relativi. Sono passati da allora parecchi anni, ma il problema rimane e resiste all’alternarsi della santità dei papi.

Ho sempre sostenuto che sarà più facile che i preti si sposino, che le donne diventino preti, che anche i laici possano celebrare la messa, piuttosto che le finanze vaticane siano amministrate da laici galantuomini, completamente estranei a certe logiche ed a certi schemi. La difesa d’ufficio più rassegnata sostiene che anche nella Chiesa ci sono i profittatori e i delinquenti (il vangelo in alcuni passaggi lascia intendere che Giuda Iscariota, addetto alla cassa del gruppo, fosse piuttosto malandrino: può darsi fosse soltanto l’eco della ben più grave e scandalosa vicenda del tradimento); la linea difensiva più intelligente invece giustifica certi comportamenti con la motivazione che anche la Chiesa ha le sue necessità e quindi deve fare i conti  con le risorse necessarie…

Giriamola pure come vogliamo: resta il fatto scandaloso di una Chiesa coinvolta clamorosamente nelle peggiori prassi del sistema finanziario. Gesù caccia i mercanti dal Tempio, ma questo gesto stupendo nella sua provocatoria purezza di fede, risulta, in un certo senso, superato dai tempi. Se infatti Gesù tornasse in terra, non ritroverebbe soltanto i mercanti nel Tempio, ma la Chiesa inserita e impegnata nel mercato.