Il potere sì, le donne forse

Mi sono sempre chiesto perché la Chiesa, soprattutto nella sua gerarchia, sia stata e ancor oggi sia così testardamente incallita nella difesa dell’obbligatorietà del celibato sacerdotale. Non ho sinceramente trovato richiami evangelici, motivi dottrinali e cause storiche convincenti al riguardo. L’unica maliziosa, ma fondata, spiegazione la trovo nella vocazione clericale all’esercizio del potere. Mi si dirà: cosa c’entra il potere con il celibato? C’entra eccome: i preti non sposati formano una casta che li distingue dal mondo, non tanto per allontanarli da una mentalità materialista e pagana, ma per esercitare una carismatica influenza sui credenti e non credenti, che scantona inevitabilmente nel clericalismo puro e duro, condizionante l’istituzione ecclesiastica e la società intera. Il celibato, spacciato per rinuncia agli affetti e ai sentimenti di routine per puntare a quelli più alti e universali, finisce con l’essere l’anticamera di una smania incontenibile di prevaricazione sociale e financo politica.

Potrà mai l’Amazzonia scombinare le carte della Chiesa al punto da imporle una revisione anche a questo livello? Di necessità virtù? Dal particolare al generale? Dalle foreste alle città? Da cosa nasce cosa? Da cambiamento a cambiamento? Non lo so! Qualcosa comunque forse si sta muovendo.

Il Sinodo sull’Amazzonia sta segnando un punto di svolta. Il Sinodo dei vescovi, visto dal punto di vista gerarchico-burocratico, è un organo consultivo che ha il compito di consigliare il Papa. Se però si comincia a discutere e il Sinodo da mero strumento di consultazione diventa uno stile di vita ecclesiale, i punti delicati non possono sfuggire e devono essere affrontati: la difesa dell’ambiente, la questione ecologica, la giustizia sociale, il calo delle vocazioni, il ruolo della donna.

Si è partiti dalla situazione concreta e specifica della regione panamazzonica, dove “molte delle comunità ecclesiali hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia” a causa delle enormi distanze territoriali, per allargare il discorso: pur apprezzando “il celibato come dono nella misura in cui questo dono permette al sacerdote di dedicarsi pienamente al servizio del popolo di Dio”, si arriva finalmente a riconoscere che il celibato “non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio, anche se possiede molteplici ragioni di convenienza” ed a proporre di “stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente e  ricevano una formazione adeguata, che possano avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parole e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”.

Le comunità ecclesiali in tutto il mondo vivono a diverso titolo e in diverso modo difficoltà nell’accesso all’Eucaristia: in Amazzonia è questione di fare viaggi lunghi e impossibili, da noi è ancor peggio, perché è questione di viaggi ben più difficili a livello di coscienza individuale e collettiva. E allora, perché in Amazzonia sì e nel resto del mondo no? In effetti nel documento finale del Sinodo alcuni vescovi “si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento”.

Sembra facile, ma non lo è. Infatti si sono scatenate e continueranno a scatenarsi le reazioni conservatrici e tradizionaliste, che minacciano sfracelli dottrinari oltre a vere e proprie scissioni. E, come scrive Domenico Agasso JR su “La Stampa” al cui articolo ho attinto, non sono mancati neanche colpi di scena pittoreschi, come il furto di statuette raffiguranti una donna incinta dai tratti indigeni (la «Pachamama») e il loro lancio nel Tevere. Le sculture in legno sono state additate da blog e siti conservatori, in aperta campagna mediatica contro Bergoglio, come «simboli pagani»: da qui, esultanze e approvazioni per il blitz («giustizia è fatta»).

Un altro argomento dirompente affrontato dal Sinodo è quello del «ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità». Perciò viene sollecitato “il diaconato permanente per le donne”. Già nel 2016 papa Francesco aveva creato una «Commissione di studio sul diaconato delle donne» che è arrivata a un risultato parziale. E poi i lavori si erano interrotti. Ora i sinodali dicono: “Vorremmo condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attenderne i risultati”. Proposta subito accolta da Bergoglio, che ha già preannunciato la riconvocazione. L’attenzione è anche rivolta alle “donne vittime di violenza fisica, morale e religiosa, femminicidio compreso”. E poi, nei “nuovi contesti in Amazzonia, dove la maggior parte delle comunità cattoliche sono guidate da donne”, si invita a creare il ministero istituito di “donna dirigente di comunità”. Altre novità non di poco conto.

Resta in me il rammarico che certe innovazioni possano essere introdotte solo per stato di necessità, per puro pragmatismo pastorale, per costrizione culturale e non per scelta evangelica e caritativa. “Putost che niént é mej putost”, meglio leccare un osso che un bastone. Forse sono un po’ cinico e disfattista. Sperare si deve sempre e comunque. Magari lo Spirito Santo ha colto l’occasione amazzonica per scuotere mentalità e coscienze su parecchie materie. Per papa Francesco gestire il dopo-sinodo non sarà una passeggiata: prego ancor più convintamente per lui.

Termino con un piccolo aneddoto. Un carissimo prete amico, che fin dagli anni settanta si poneva acutamente e saggiamente certe problematiche, mi raccontava di una messa crismale del Giovedì Santo, durante la quale i sacerdoti rinnovarono le loro promesse, fatte al momento dell’ordinazione, rispondendo “Lo voglio” alle domande retoriche del Vescovo. Qualcuno tra il serio e il faceto rispose “La voglio” con chiaro riferimento ad una moglie con cui vivere. Speriamo che il Sinodo sull’Amazzonia abbia sdoganato le donne, affinché possano essere degne compagne dei sacerdoti ed esse stesse sacerdoti o giù di lì.