Tempi duri per i parlamenti

Il premier britannico Boris Johnson ha sospeso per un mese il Parlamento: ho leggiucchiato qua e là e confesso di non aver capito il vero motivo di questa originale decisione, anche se con ogni probabilità su questo fatto grava il fantasma della Brexit. Può sembrare una sorta di punizione della Camera dei Comuni per essersi troppo intromessa nella politica; potrebbe essere un periodo di ferie forzato imposto ai parlamentari per aiutare il governo a risolvere la crisi dell’uscita dall’Europa; potrebbe trattarsi di un anomalo comportamento consentito dalla tanto ammirata mancanza di legislazione scritta; potrebbe essere un buco causato anche da una distrazione regale. Potrebbe. Fatto sta che la questione ha sollevato non poche polemiche e non ingiustificati allarmi.

Stando alle più autorevoli e plausibili interpretazioni, Boris Johnson avrebbe depotenziato il Parlamento, piuttosto contrario ad una Brexit dura e non concordata con le istituzioni europee, ciò che vorrebbe invece il premier per tagliare la testa al toro e chiudere unilateralmente la partita. La mancanza di precisi riferimenti legislativi in campo istituzionale rende tutto vago e possibile alla faccia di chi esalta come un pregio la carenza di normativa. In Italia abbiamo certamente troppe leggi, mentre in Gran Bretagna ne hanno troppo poche. Quando si tratta di rispetto dei principi democratici non farebbe male una certa qual precisione nei poteri e nelle procedure.

Sorge spontaneo intravedere una sorta di minaccioso asse Washington-Londra-Roma per il disprezzo della democrazia parlamentare. Negli Usa vige una democrazia presidenziale, che mi ha sempre impressionato e preoccupato: tanto potere nelle mani di un presidente eletto (nel caso di Trump, da una larga minoranza popolare), ma poco controllabile ed orientabile. In Gran Bretagna un Parlamento sconclusionato e depotenziato, tra una regina fantoccio e un premier fantasioso. In Italia una democrazia diretta in bilico tra le onde populiste del web grillino, le piazze strumentalizzate dalla destra sovranista, la voglia demagogica di ridimensionare le Camere, il ricorso facile e sondaggistico alle urne.

Si chiami populismo o altro non saprei dire: mi sento preoccupato. Con la democrazia non si può scherzare, è vietato divagare. Il tutto è drammaticamente complicato dai protagonisti di queste derive. A Donald Trump, a Boris Johnson, a Matteo Salvini, a Beppe Grillo non affiderei neanche le chiavi di cantina. Sì, perché questi assurdi personaggi non si capisce dove ci vogliano portare: certamente fuori strada e, quando si lascia la strada maestra per prendere delle scorciatoie, solo se la guida è competente ed affidabile si può arrivare alla meta. Diversamente si finisce molto male.

Qualche tempo fa, durante una diabolica kermesse qualunquistica, ho sentito ribattezzare Camera e Senato come “pirlamento”, a margine di una lucida e spietata analisi politica formulata da una simpatica anziana signora. Allora non dissi nulla, mi limitai a sorridere per la vis polemica e ironica, che poteva anche rappresentare una sferzata per la sonnolenta prassi parlamentare. Oggi non sarei più così tollerante: meglio, paradossalmente parlando, uno smodato “pirlamento” piuttosto che i sedicenti leader che ci trattano populisticamente tutti da “pirla”.