Lo sfarfallamento di Conte

Giuseppe Conte dopo aver guidato un governo contrattuale espressione di M5S e Lega, si appresta a guidarne uno programmatico appoggiato da M5S, Pd e Leu. Se un cittadino italiano si fosse totalmente estraniato dalla politica e rientrasse in pista, non riuscirebbe a capacitarsi di quanto avvenuto in questi ultimi tempi.

Qualcuno liquida sbrigativamente il cambiamento della situazione come un’operazione trasformistica col passaggio di Conte dal ruolo di burattino in cui era costretto al ruolo di burattinaio a cui si sta convintamente candidando. C’è indubbiamente un aspetto sorprendente nel comportamento di questo personaggio, che apre la porta contro la quale spingeva da fin troppo tempo Matteo Salvini e quest’ultimo cade rovinosamente. Eliminato l’incomodo, si presenta disponibile a rimettere in piedi la baracca con altri interlocutori. Il partito democratico, dopo un iniziale richiesta di discontinuità a livello di guida governativa, si adegua e accetta Giuseppe Conte premier di un governo di segno assai diverso dal precedente.

L’operazione suscita qualche perplessità anche se si può capire come Conte pian piano sia passato da bruco (mero notaio) a crisalide (problematico garante) ed infine abbia rotto il bozzolo leghista per trasformarsi da crisalide in farfalla (vero politico) e volare autonomamente, assumendo il ruolo di play maker di una nuova squadra rinnovata a metà e rimotivata totalmente. Il problema però è che anche i giocatori grillini non ne azzeccavano una, ma sono stati salvati dopo un bagno rigeneratore culminato nel tuffo dalla piattaforma Rousseau. Nel calcio, quando la squadra va male, si tende a cambiare l’allenatore, nel governo italiano si è preferito mantenere lo stesso allenatore e cambiare metà squadra nella speranza che egli sia capace di adeguare la tattica alla nuova compagine a sua disposizione.

L’allenatore godeva tutto sommato della fiducia dei tifosi, era ritenuto da molti vittima dello spogliatoio in cui non riusciva ad imporsi. Fino al giorno del redde rationem, quando l’ha messa giù dura: o via Salvini o via io. Sarebbe meglio dire: via Salvini, dopo di che io posso anche restare. C’hanno creduto ed eccoci al governo Conte 2. Il campionato è lungo e ancora tutto da giocare. Se non si è capito, pur tra mille perplessità non mi sento di buttare addosso a Giuseppe Conte la croce dell’opportunismo trasformista. Guidare una squadra con due capitani come Salvini e Di Maio deve essere stato un autentico stillicidio e da questo punto di vista ha tutta la mia comprensione: dal momento che non si potevano eliminare entrambi i galli del pollaio, si è fatta la scelta del male minore, sperando di recuperare gioco e punti negli stadi europei all’uopo riaperti.

Ecco spiegato a modo mio il ribaltone. In un programma televisivo si sono divertiti a spulciare le frasi contraddittorie pronunciate da Conte: forse nella vita di tutti, se si facessero simili impietose rivisitazioni, pochi uscirebbero indenni. Conte non passerà alla storia come un raro esempio di coerenza, ma nemmeno come il recordman del trasformismo. Chi vivrà, vedrà.