La pagliuzza nell’occhio dei disperati

Come tutti forse ricorderanno, l’esponente radicale Marco Cappato è finito sotto processo per aver assistito e confermato Fabio Antoniani, meglio conosciuto come dj Fabo, nelle sue intenzioni suicidarie. Nell’ambito di questo procedimento giudiziario, lo scorso anno la Corte d’Assise di Milano, a proposito della sospetta illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice Penale, che punisce chi aiuta o istiga una persona al suicidio, ha sollevato la questione davanti alla Corte Costituzionale, la quale ha deciso di rinviarne la trattazione  all’udienza del prossimo 24 settembre, invitando nel frattempo il Parlamento a colmare il vuoto giuridico riguardante le situazioni relative al fine vita.

Il Parlamento non ha concluso praticamente niente, l’attuale governo si è chiamato fuori dalla questione, ritenuta di esclusiva competenza parlamentare, tutti pontificano e nessuno ha il coraggio di varare uno straccio di legge che cerchi di regolamentare seriamente problemi delicatissimi, incidenti direttamente sulla pelle delle persone in stato, comunque, di gravissima sofferenza.

Tra chi pontifica c’è naturalmente la Chiesa cattolica, che si è espressa in questi giorni con un intervento del cardinal Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana. Egli non ha risparmiato critiche al Parlamento che «incaricato dalla Corte costituzionale di legiferare attorno alle questioni dell’eutanasia e della morte volontaria», si è «limitato a presentare alcune proposte di legge, senza pervenire né a un testo condiviso, né ad affrontare in modo serio il dibattito». Poi è entrato nel merito, esprimendo forti dubbi «sulla presunta esistenza di un diritto alla morte». Ha quindi ribadito con forza: «Va negato che esista un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente. Mi rendo conto che questo pensiero ad alcuni sembrerà incomprensibile o addirittura violento. Eppure, porta molta consolazione il riconoscere che la vita, più che un nostro possesso, è un dono che abbiamo ricevuto e dobbiamo condividere, senza buttarlo, perché restiamo debitori agli altri dell’amore che dobbiamo a loro. (…) Anche nel caso di una grave malattia, va respinto il principio per il quale la richiesta di morire debba essere accolta per il solo motivo che proviene dalla libertà del soggetto. (…) La vita non ce la siamo data e come non ce la siamo data, non ce la possiamo togliere. Tutto deve essere pro-life, tutto deve essere per la vita. Bisogna solo cambiare mentalità e convertirsi, non scegliere le strade più semplici. È un messaggio a tutti».

Non mi soffermo sul discorso della laicità dello Stato e quindi sull’inopportunità della Chiesa di parlare nella mano a legislatori e governanti. Questi interventi, come altri ne ha conosciuto la storia politica italiana, sono magari formalmente rivolti ai cattolici impegnati in politica, nel sociale, nelle scuole o nelle università, ma in realtà tendono a intromettersi nel campo riservato alle istituzioni democratiche. Vedo spuntare all’orizzonte una seconda vicenda simile a quella del divorzio, che fu drammaticamente divisiva all’interno della Chiesa e assolutamente fuorviante per la politica.

Come ai tempi del referendum sul divorzio non mi limito alla distinzione fra Chiesa e Stato, ma come cattolico mi permetto di dissentire dall’impostazione della gerarchia nel merito del problema. La vita è certamente un dono di Dio, ma quando mai un dono diventa un obbligo, un dovere, un limite alla libertà. Come può la carità divina non capire il dramma di un figlio che, distrutto fisicamente e/o psicologicamente, al colmo della sofferenza, decida di chiudere dignitosamente la propria esistenza rimettendola nelle mani di Dio? Mi ribello al solo pensare che Dio possa rispondere alla Bassetti, tirando in ballo l’etica, l’antropologia e la teologia, di fronte alle immani sofferenze di una persona che non ce la fa più a vivere e chiede di mettere fine ai suoi giorni.

La Chiesa continua imperterrita a legare e caricare pesi gravi e insopportabili sulle spalle degli uomini, senza volerli muovere neppure con un dito.  Non è infatti sufficiente il richiamo al sostegno ed all’assistenza dei malati e delle persone deboli: ci devono essere, ma possono anche non esserci o non essere sufficienti. E allora? Continuiamo pure, come diceva Indro Montanelli, a nasconderci dietro “beghe di frati”. Pierluigi Bersani, fra le tante battute discutibili, ne azzeccò una in materia di fine vita, respingendo seccamente l’ipotesi che il momento della propria morte potesse dipendere dal volere del parlamentare devoto Gaetano Quagliariello. Io vado giù ancora più duro e affermo solennemente che la mia morte non la condizionerà nemmeno il cardinal Bassetti con la sua Conferenza episcopale schierata, il quale ha così concluso il suo intervento: «Ognuno nella Chiesa ha la propria responsabilità.  Io stasera. Vescovo pilota o non pilota, ho fatto un atto di magistero che mi competeva come responsabile dei 228 vescovi italiani». Bene. E, dopo avere fatto questo atto di magistero, riuscirà a dormire in pace pensando alle persone disperate nella loro sofferenza, che desiderano morire, non per un capriccio ma per terminare il loro calvario?  Buona notte Eminenza, sogni d’oro!