I mostri nei cassetti

La finanza pubblica è costretta a passare in mezzo a Scilla e Cariddi, i suoi due mostri, poco leggendari e molto reali, che corrispondono all’evasione fiscale e allo spreco della spesa pubblica. Quando si ragiona della quadratura del cerchio dei conti pubblici mi viene spontaneo non pensare tanto a nuovi provvedimenti a livello di entrate e/o di uscite, ma a come tutto potrebbe funzionare a meraviglia portando l’evasione a livelli accettabili in linea con gli altri Paesi e combattendo seriamente e rigorosamente gli sprechi del pubblico denaro.

A questo punto vorrei introdurre una paradossale esemplificazione di un amico medico il quale aveva esercitato la sua professione in strutture private e pubbliche. Per rendermi plasticamente l’idea della differenza fra le due impostazioni gestionali mi disse: «Nelle case di cura private assistevo con apprensione al “riciclaggio” delle garze, nei reparti degli ospedali pubblici vedevo con fastidio medici ed infermieri pulirsi le scarpe utilizzando garze sterili». Se tanto mi dà tanto…

È inutile parlare di nuove tasse se non si riescono a incassare quelle già esistenti; è assurdo ipotizzare sforamenti di bilancio se prima non si fa tutto il necessario per contenere spese inutili e improduttive. Sono convinto che i nostri partner europei, allorquando andiamo a battere cassa, penseranno: perché questi simpaticoni di italiani, prima di chiederci il permesso di aumentare deficit e debito pubblico, non cercano di migliorare il loro sistema di entrate ed uscite pubbliche? Non saprei cosa rispondere, se non che hanno mille ragioni.

Tutti gli esperti in materia dicono che, se si avviassero a soluzione questi due corni del problema, la finanza pubblica respirerebbe a pieni polmoni e consentirebbe di impostare politiche di sostegno a livello sociale ed economico. Anche gli indici di misurazione del nostro stato di salute devono tenere conto di queste anomalie. Il Pil va implementato con l’economia sommersa, il tasso di occupazione va integrato col lavoro nero e via di questo passo. La disoccupazione nel nostro Paese è meno grave di quello che appare proprio per il lavoro nero su cui, peraltro non vengono pagate tasse e contributi. Quando si dice che dipendenti e pensionati pagano fino all’ultimo centesimo, non è proprio vero, o per meglio dire è vero solo per chi lavora regolarmente. E così via.

Vorrei però spendere due parole ulteriori sugli sprechi e sulla finanza allegra. Sono stati affidati, in questo delicato campo, incarichi a fior di esperti per mettere il dito nelle piaghe e cercare di risanarle: ho la netta impressione che non siano stati ottenuti risultati significativi. Molto spesso ci si limita a sforbiciare qua e là, a tagliare dove le resistenze sono più deboli, a sacrificare settori ad alto contenuto sociale, a premiare chi nella pubblica amministrazione non lavora o lavora poco, gravando in modo spropositato su chi fa il proprio dovere, lasciando inalterati i meccanismi burocratici forieri di inefficienze e diseconomie.

Non c’è governo e ministro che tenga, se non si correggono questi perversi meccanismi, nessuno riuscirà mai a quadrare i conti e ad impostare una seria politica di bilancio. Scaricheremo le colpe sulle ristrettezze imposte dalle pur esagerate e riformabili regole europee, ma non usciremo mai dalla debolezza dei nostri conti pubblici. Alla fine si sa come vanno queste cose: ci rimettono sempre i più deboli e quanti hanno meno voce in capitolo. Quindi, di fronte al solito ritornello della mancanza di risorse nella casse dello Stato, mi chiedo: chi l’ha detto? Forse basta cercare le risorse dove dovrebbero essere e sciuparne un po’ meno.  Agli scheletri negli armadi si aggiungono i mostri nei cassetti.