Al Ciampedie cón il savàti

Il periodo estivo è l’ideale per dare libero sfogo alle proprie passioni escursionistiche e naturalistiche: cose bellissime, che ritemprano l’animo e riempiono il cuore. Si va alla inebriante scoperta degli angoli più reconditi in mare e in montagna, sui laghi, sui fiumi, in terra, sotto terra e sott’acqua. Benissimo: la natura è fatta per essere goduta nella sua bellezza, ma anche per essere rispettata nella sua conformazione.

Si registrano purtroppo episodi tragici dovuti alla fatalità, ma spesso dovuti alla imprudenza. C’è chi si diverte a mettere a repentaglio la propria vita. Fin qui niente da dire: ognuno è libero di interpretare a suo modo il rischio esistenziale coniugandolo col brivido elettrizzante. Quando però questo comportamento mette in difficoltà anche gli altri, occorrerebbe stendere un velo di prudenza e di responsabilità. C’è persino chi paradossalmente e presuntuosamente rifiuta i soccorsi per poi essere salvato in extremis.

Io sono libero di scalare tutte le montagne che voglio, posso andare per mare quando la situazione meteorologica lo sconsiglierebbe, ma non posso poi pretendere che altri rischino la vita per venirmi a togliere dalle difficoltà in cui mi sono cacciato.  Quasi sempre i salvataggi funzionano, a volte meno, ma mi sembra oltre modo ingeneroso, sconveniente e disgustoso scaricare colpe sui soccorritori. Succede e non mi pare giusto.

E allora? Restiamo tutti a casa per evitare il peggio? Non voglio certo teorizzare una vita monotona e timorosa, ma nemmeno una vita avventurosa fine a se stessa. La natura va rispettata in due sensi: non va sporcata, rovinata o addirittura distrutta, ma va anche temuta nella sua immanente grandezza e superiorità.

Ricordo un caro amico che mi raccontava di avere incontrato improvvisati escursionisti che percorrevano i sentieri che portano al rifugio Ciampedie in Val di Fassa con le ciabatte ai piedi: episodio emblematico. Mio padre, ad esempio, non ammetteva scherzi durante i bagni in acqua ed aveva mille ragioni: è un attimo rimanerne vittime.

È sciocco imprecare ai soccorsi tardivi. Capisco la disperazione di parenti e amici delle vittime, ma molte volte il problema è a monte e riguarda l’imprudenza, la faciloneria, l’insensatezza dei protagonisti. La catena dei soccorsi funziona generalmente molto bene, scattano virtuosi meccanismi solidali, tutti si danno da fare e rischiano: fosse così su tutto il fronte delle situazioni socialmente a rischio, andremmo benissimo. È il rovescio della medaglia delle vacanze: c’è chi non se le può permettere; c’è chi, come il sottoscritto, le diserta dal momento che sono diventate più un obbligo che un piacere; c’è chi è sempre in vacanza e quindi non ne ha bisogno; c’è chi le spreca e torna al lavoro più stressato di prima; c’è chi ne fa un’occasione estrema di divertimento e rischia di rimetterci le penne. Tutti coloro che se le possono permettere dovrebbero forse ripensarle, non per routinizzarle ma per viverle meglio.