Un paradosso tira l’altro

La strana crisi di governo sta prendendo una piega altrettanto strana. Come previsto, è deflagrata la maggioranza giallo-verde, che io da sempre preferisco chiamare pentaleghista, in quanto questa definizione rende perfettamente l’idea del “mostro” politico non creato a livello istituzionale e costituzionale da Mattarella, ma generato in laboratorio da due apprendisti stregoni, Di Maio e Salvini, in cerca di ignobile rinnovamento. I cocci sembrano non più riutilizzabili e allora ecco spuntare una stranissima prospettiva di governo giallo-rosso, che io preferisco chiamare pentapiddista, mettendo le mani avanti quasi a voler esorcizzare un nuovo mostro.

Un paradosso tira l’altro. Coloro che hanno continuato per anni a sputare contro il partito democratico e soprattutto contro Matteo Renzi, si stanno sgelando per opera di Grillo e lasciano balenare la possibilità di un accordo con quel partito. I piddini, coloro che, durante questo ultimo anno, escludevano ogni e qualsiasi probabilità di dialogo con il M5S, oggi parlano confusamente di governi istituzionali, di governi del Presidente, di governi di solidarietà nazionale, etc., lasciando intendere di potere, a fin di bene, baciare il rospo. Berlusconi, che ha gettato divertenti manciate di merda addosso ai grillini, sta cercando, per l’interposta persona di Gianni Letta, di rientrare nei giochi al fine di salvare i suoi interessi ed evitare elezioni, che forse lo cancellerebbero inesorabilmente dalla scena sia come eventuale vincitore in un centro-destra tutto destra e niente centro, sia come cigno definitivamente ammutolito e perdente. I grillini arriverebbero persino a sdoganare l’odiato cavaliere, togliendogli le macchie e non avendone più paura. A Leu non parrebbe vero di diventare la sinistra, che copre ideologicamente l’inciucio. Agli europeisti sparsi farebbe comodo entrare in una maggioranza di stampo europeista: Romano Prodi, alla spasmodica e stucchevole ricerca del ruolo di padre nobile della sinistra, arriva a prefigurarla, chiamandola “Orsola” dal nome del commissario-capo europeo, quella Ursula Von Der  Leyen, votata al parlamento di Strasburgo da tutti i potenziali protagonisti della nuova maggioranza italiana.

In politica ne ho viste di tutti i colori e quindi sono maggiorenne e vaccinato. Non mi lascio scandalizzare da nulla. Però le perplessità su una simile prospettiva non riesco a vincerle e faccio molta fatica a credere che Sergio Mattarella la possa patrocinare o anche solo registrare. Il collante vero di questa nuova (?) maggioranza sarebbe la rimessa in gioco di molti personaggi attualmente in bilico: Grillo riprende in mano il movimento e se lo masturba a piacimento; Prodi risorge dal sepolcro presidenziale in cui lo avevano sepolto dopo averlo candidato e crocifisso; Renzi torna in pista perché non può fare a meno di un governo, se non suo almeno amico e per i suoi amici; Di Maio salva la faccia  e il suo ridicolo doppio petto; gli altri grillini non contano un cazzo  e andranno a cuccia per succhiare l’osso della ricandidatura; Conte se ne andrà a Bruxelles e non ci farà sfigurare; Zingaretti incasserà una parvenza di unitarietà del partito; persino Enrico Letta potrebbe tornare dall’esilio.

E io dovrei applaudire? Nossignori! Siccome i programmi camminano sulle gambe degli uomini, non riesco a vedere un percorso attendibile. Ero iscritto alla Democrazia Cristiana e fui costretto a berla da botte molte volte: quando vidi spuntare l’era forlaniana con tanto di Caf, capii che era finita e non rinnovai la tessera nonostante le insistenze di tanti carissimi amici. Oggi non ho tessere da restituire, mi è rimasto il cervello e non sono disposto a venderlo all’ammasso. Mi dispiace, ma la lotta al salvinismo non si fa così. E non mi si definisca un aventiniano: non vado sull’Aventino, ma resto nella mischia a combattere a mani nude contro il fascismo strisciante e a favore della vera Europa.