Sulla Tav governo in fuorigioco

L’articolo 94 della Costituzione recita: “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o dì entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”.

Ho voluto rileggermi attentamente le disposizioni che regolano il rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento per giudicare, a Costituzione veduta, la situazione che sta vivendo il governo pentaleghista. Il Senato ha espresso un voto a favore della Tav, dopo che il governo su tale tema si era pronunciato in modo contraddittorio: una parte, i ministri leghisti, a favore e un’altra parte, i ministri pentastellati, contro, presentandosi sui banchi del governo in modo addirittura tale da rendere anche plasticamente l’idea della distinzione. Sostanzialmente si è rotto il rapporto di fiducia all’interno del Governo (il contratto è diventato poco più di carta straccia) con la situazione sfuggita di mano al Presidente del Consiglio, che dovrebbe dirigere la politica generale del Governo ed esserne responsabile, mantenendo l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

Il primo profilo riguarda quindi il Capo del governo, che non è più in grado, se mai lo è stato, di garantire l’unità della compagine ministeriale: al Senato era addirittura assente a prova del fatto che, avendo precedentemente dichiarato che la realizzazione della Tav sarebbe proseguita anche per la fattuale impossibilità di interrompere i lavori, non sapeva che pesci pigliare e da che parte stare. In un caso simile, quasi paradossale, le dimissioni sarebbero un atto necessario e Giuseppe Conte avrebbe immediatamente dovuto rassegnarle nelle mani del Presidente della Repubblica, che lo ha nominato per svolgere la sua funzione e non per fare il pesce in barile.

Il secondo profilo è quello del rapporto tra Camere e Governo. Anche se, a stretto rigore, non è scattato l’obbligo di dimissioni del Governo, la sostanziale sfiducia ottenuta su un importante problema, accompagnata da una clamorosa divaricazione fra ministri, dovrebbe comportare le dimissioni dell’intero Governo o almeno del ministro (in)competente in materia, vale a dire il grillino Danilo Toninelli a capo del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Il terzo profilo inerisce ai poteri ed al ruolo del Presidente della Repubblica. A mio modesto avviso esisterebbero gli estremi per chiedere, come minimo, che il Governo si presenti alle Camere per farsi rinnovare o meno la fiducia, messa fortemente in discussione dalla vicenda parlamentare sulla Tav. Potrebbe anche, senza andare oltre i propri poteri, mettere in discussione la nomina, a suo tempo fatta, di Giuseppe Conte, chiedendo le dimissioni sue e/o dell’intero Governo. Qualcuno ha ventilato l’ipotesi del massaggio alla Camere per sollecitare un chiarimento politico-istituzionale in una situazione sempre più ingarbugliata e insostenibile.

Al momento, complice il clima feriale, tutto tace, fioccano i commenti, continua lo scontro politico, nessuno si dimette, si parla di rimpasto, vale a dire di una sistemazione della compagine, che possa favorire la futura collaborazione dei due partner e rilanciare l’azione del governo anche in vista delle scadenze finanziarie vicine e impellenti. Quest’ultima appare come un’ipotesi minimale, fatta apposta per guadagnare tempo e scaricare su qualche capro espiatorio le responsabilità dell’intero Governo e della maggioranza che lo dovrebbe sostenere.

Comincio a pensare che Sergio Mattarella debba battere un colpo, abbandonando la sua prudenza e la sua discrezione, peraltro ammirevoli. Si impone una coraggiosa presa di posizione, che costringa tutti ad assumere le proprie responsabilità. Gli Italiani hanno fiducia in lui, lo vivono come il garante e quindi apprezzerebbero anche una sua entrata a gamba tesa nel bel mezzo di una partita brutta e molto scorretta. È vero che lui si considera un attento e scrupoloso arbitro, ma, dopo aver consultato la var al Senato, dopo avere ripetutamente richiamato all’ordine i capitani, dopo aver fischiato falli a ripetizione, gli sarebbe consentito di interrompere la partita, prima che il tutto degeneri in una rissa oltremodo dannosa per il Paese.