Ripristinare la carità

In questi giorni l’occasione di riflettere sui fatti viene offerta dalla piazza di Parma, anzi da quanto sta succedendo in un piazzale della città, laddove un gruppo di ragazzini si diverte a provocare disordini nei pressi e dentro la chiesa, disturbando le celebrazioni liturgiche, creando disagio nelle persone che partecipano alla messa. Stando alle cronache: bestemmie durante le funzioni, lancio di oggetti, gomme tagliate e sputi al parroco, insulti agli anziani che provano a rimproverare questi scalmanati e roba del genere.

Il parroco ha scritto una lettera al vescovo per informarlo dello stato di degrado della zona e di cosa accade durante le celebrazioni religiose. Il vescovo, pur con un intervento soft, è partito col richiedere provvedimenti per ripristinare la legalità, vale a dire una presenza significativa, una sorta di presidio contro questi disordini in difesa del quartiere.

Sarò provocatoriamente sincero: non conosco bene la situazione e quindi ammetto di andare per approssimazione, ma la reazione della comunità cristiana, del suo parroco e del suo vescovo mi sembra burocraticamente improntata più all’ordine pubblico che al “disordine” evangelico, più alla paura che al dialogo, più alla politica che alla carità. Persino il quotidiano locale, non certo una fonte rivoluzionaria, ha dovuto, in un bel corsivo a firma Francesco Monaco, scrivere che “è preferibile anteporre il dialogo e puntare sul recupero attraverso la scuola, lo sport, i presidi culturali e i servizi sociali”.

Mi sarei aspettato un atteggiamento diverso anche e soprattutto dal vescovo: vada lui a celebrare in quella chiesa, cerchi di incontrare quei ragazzi a costo di prendersi qualche insulto e qualche uovo marcio in faccia, coinvolga il parroco e la comunità parrocchiale in un’azione di recupero verso questi giovani devianti e le loro famiglie, non con atteggiamento paternalistico, ma con proposte concrete di convivenza umana e religiosa, facendosi magari aiutare da…Santa Maria della Pace.

Non voglio insegnare il mestiere a nessuno, ho vissuto anch’io momenti durissimi a confronto con soggetti “difficili”, nessuno ha in tasca la ricetta facile, non intendo fare raffronti, ma invece li faccio. Molti anni fa situazioni analoghe si crearono nei pressi della chiesa di Santa Maria del Rosario. Mia sorella al parroco, che in quel periodo operava mirabilmente nel quartiere Isola, provò timidamente a prospettare l’eventualità di un intervento duro per allontanare dalla scalinata antistante questi sfaccendati disturbatori. Ricordo la risposta sofferta, piena di pazienza e tolleranza di don Sergio Sacchi, tanto per non fare nomi: “Sapessi quante volte ho cercato di parlare con loro, di convincerli ad agire diversamente, non ho ottenuto grandi risultati, ma non mi sento di spazzarli via come rifiuti…”. Mia madre, che aveva assistito al colloquio, non intervenne immediatamente, ma dopo che il parroco si fu allontanato, se ne uscì con un commentino dialettale in chiave evangelica: “’Na parola bón’na a chi ragas lì chi g’la pol dìr? Un prét, al pàroch! Al fa ben a fär acsì…”. Discorso chiuso o meglio aperto, anzi apertissimo.

Successe persino il fattaccio: un caso di omicidio durante una rissa scatenatasi davanti alla chiesa per futili motivi, vale a dire un gavettone tirato contro una ragazza il cui padre intervenne e ci lasciò le penne. Ebbene il parroco non si arrese e, assieme a Mario Tommasini, presentò un programma di recupero per quel giovane, che si era reso responsabile di quel fatto terribile. È questo il modo di incarnare il Vangelo e di testimoniare la fede cristiana, non con le gazzelle della polizia, ma a mani nude. Era questo il modo di andare a braccetto fra fede e politica. Altri tempi? Proviamo a ricordare e a riprovare!