Marciare divisi per combattere disuniti

Che il partito democratico non sia monolitico mi sta benissimo, che al suo interno abbia una pluralità di idee e finanche di principi di riferimento è accettabile se non addirittura auspicabile, che il dibattito sia vivace è una ricchezza, ma tutto ha un limite. Che in piena (quasi) apertura di una delicata e complessa crisi di governo il PD si presenti con ben tre posizioni politiche, mi sembra un po’ eccessivo.

Carlo Calenda, del quale non ho ancora capito se appartenga al partito o se stia sempre “sull’uscio col lume che vacilla al vento” (Bohème atto primo), chiude aprioristicamente al dialogo col movimento cinquestelle: «Se la direzione darà al segretario Zingaretti il mandato di verificare l’ipotesi di un accordo con i 5 stelle, questo vorrà dire che il Pd avrà definitivamente abdicato alla rappresentanza del mondo liberaldemocratico» dice Calenda in un’intervista al Foglio. «Io questa cosa non la accetterò. Sarà a quel punto inevitabile lavorare a una nuova forza politica che rappresenti quel mondo orfano. Una forza non alleata con il Pd, perché il Pd avrà perso ogni credibilità rispetto alle istanze dell’Italia seria, quella che lavora, studia e produce».

Matteo Renzi, del quale non ho ancora capito cosa voglia fare, ma temo abbia solo l’intenzione di recuperare un ruolo per sé, afferma ripetutamente, peraltro in qualche contraddizione col suo recente passato (solo gli idioti non cambiano mai opinione…) afferma: «Un Governo Istituzionale che come prima cosa abbia un Ministro dell’Interno degno di questo nome e un Governo che pensi a fare il bene degli italiani, non a litigare tutti i giorni. Sono uomini delle Istituzioni coloro che mettono da parte i propri risentimenti personali e pensano a come evitare la crisi economica. Poi torneremo a discutere, litigare, dividerci. Ma prima viene l’Italia, poi vengono gli interessi dei singoli partiti. Ci hanno buttato addosso odio e fango: noi non replichiamo allo stesso modo, ma rispondiamo pensando al bene comune e ai risparmi delle famiglie».

Il segretario Zingaretti, quello che fino a prova contraria dovrebbe esprimere la linea del partito, non esprime un bel niente  e resta in attesa: «Solo nello sviluppo dell’eventuale crisi di governo sotto la guida autorevole del Presidente Mattarella si potranno verificare, se esistono, le condizioni numeriche e politiche di un Governo diverso con una larga base parlamentare che nasca non a tutti i costi per la paura delle urne, che non abbiamo, ma dalla reale possibilità di trasformare l’Italia, cambiare e rifondare l’Europa e ricostruire una speranza».

Cosa andranno a dire al presidente della Repubblica in caso di probabili consultazioni non riesco a capirlo, speriamo lo capisca Mattarella. Non sarà il caso di darsi una regolata, di discutere anche animatamente negli organi di partito, per poi esprimere una linea univoca che abbia credibilità di fronte ai cittadini. In politica mai dire mai, però qualche volta sarebbe utile avere le idee chiare. Il vezzo frazionistico della sinistra è sempre in agguato. Facciamo un discorso meramente tattico: di fronte ad una maggioranza uscente che brancola nel buio, di fronte ad un centro-destra sballottato e shakerato da Salvini, di fronte ad un M5S in confusione mentale, di fronte persino a qualche scricchiolio in casa Lega, non sarebbe il caso che il PD si presentasse con un minimo di dignitosa unità d’intenti e non in ordine sparso? La democrazia cristiana sapeva dividersi, ma sapeva, nei momenti topici, stare unita. Per non parlare del PCI. C’era un partito che, per dirla brutalmente, non sapeva mai dove tenere il culo, era il Partito socialista: fu il responsabile principale della mancanza di una seria e credibile sinistra riformista nel secolo scorso. Vuoi vedere che il PD si candida a ripetere questo errore nel secolo attuale?