I foruncoli stragisti della democrazia americana

Strage in un centro commerciale del Texas: 20 morti e 26 feriti, arrestato il killer 21enne, che protesta così contro l’invasione ispanica e sulla base di un delirante mix di paradossali motivazioni.

Mi hanno sempre incuriosito e inorridito le ricorrenti, inquietanti ed apparentemente immotivate stragi, che negli Usa spuntano come funghi ed a cui non si riesce a dare una spiegazione veramente plausibile: una sorta di folle sfogo sociale e psicologico, che attualmente tende ad ammantarsi di insofferenza razzista, ma che in altri periodi si connotava di generico ribellismo giovanile, di insofferenza verso le pur disordinate forze di polizia, di odio purchessia.

Si pensa immediatamente ad una eccessiva e facile detenzione di armi. Si dice a livello internazionale, ma lo si può riferire anche al campo sociale: le armi, se e quando ci sono, prima o poi vengono usate; non sono un deterrente all’insegna del “si vis pacem para bellum”, ma un incoraggiamento alla violenza nei rapporti interpersonali, sociali e internazionali. Sulle armi è fondata buona parte dell’economia e quindi il sistema non accetta di contenerne la diffusione e la detenzione. Il discorso tuttavia sarebbe comunque soltanto una parziale e tardiva risposta al problema. Come del resto è ancor di più la pena di morte comminata in simili casi. Da dove e perché nasce tanta violenza? Questo è il problema che mi pongo.

Che un subdolo predicatore di egoismo e odio come Donald Trump, davanti ad episodi come quello della strage in Texas, si erga a difensore della legalità e dell’ordine, lascia perplessi: non è credibile seminare vento pretendendo di raccogliere bonaccia. Credo però che non bastino gli “ismi” trumpiani a giustificare simili esplosioni estemporanee a livello di stragismo fai da te. Penso anche che non si possano ridurre a fisiologici sfoghi, ad una sorta di vulcanologia sociale, di male minore rispetto al magma incandescente, che cova sotto la crosta della società. Men che meno si può ripiegare su luoghi comuni del tipo “i matti ci sono sempre stati e sempre ci saranno” o “chi schiva un matto fa una buona giornata”.

La motivazione di fondo riesco a trovarla in un ragionamento forse un po’ sessantottino, ma plausibile: la società americana esaspera da una parte le diseguaglianze e i contrasti sociali lasciando libero campo all’agire delle persone; dall’altro lato non offre la possibilità di protestare in senso democratico e costruttivo contro il disordine sociale, non concede alternative istituzionali alla “rabbia” che si incanala nello sterile e spontaneistico ribellismo o, nella peggiore delle ipotesi, nello stragismo protestatario del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Una democrazia senza strumenti democratici, che finisce col ripiegare su strumenti antidemocratici, non di massa, ma singolarmente e follemente impiegati.

Faccio un esempio che mi sta sul gozzo: una democrazia, che legittima un presidente eletto da una minoranza della popolazione (Trump ha ottenuto oltre due milioni di voti in meno rispetto alla Clinton), è inevitabilmente vocata a fare i conti con l’occasionale e incontrollabile stragismo. Sia chiaro: non voglio dire e nemmeno pensare che se alla Casa Bianca ci fosse Hillary Clinton non ci sarebbero le stragi nei college e nei supermercati. Magari fosse così semplice. Voglio solo riflettere su un sistema democratico talmente imperfetto da mettere seriamente in dubbio quanto sosteneva Winston Churchill, vale a dire che “la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. Churchill aveva ragione, ma la democrazia andrebbe coltivata, incanalata, rispettata, altrimenti…