Una pallonata in faccia a Trump

Ho seguito, prima con un certo scetticismo e poi con molto interesse, i campionati mondiali di calcio femminile, che hanno visto, sportivamente parlando, “una bella figura” delle atlete italiane e la vittoria da parte della squadra statunitense.

Mi sono divertito perché le donne giocano bene, sono abbastanza corrette, hanno intorno un tifo partecipato, colorito ma contenuto, sanno gioire e soffrire da donne, riescono a quadrare il cerchio della femminilità fisica e mentale in un contesto di sforzo fisico ed atletico, riescono, anche se non del tutto, a non imitare gli uomini, da cui in questo, come in quasi tutti i campi, c’è poco da imparare. Chissà che questa ventata femminile non bonifichi il fenomeno calcistico, inquinato a tutti i livelli. Il rischio è che anche le ragazze, pur con le più buone intenzioni, vengano omologate e si adeguino ai principi ed agli schemi dominanti nel calcio giocato, organizzato, commercializzato e parlato.

Le donne, se vogliono, riescono a immettere nella nostra società dei contro-veleni efficaci e fascinosi, anche se hanno un grosso inevitabile problema, quello di avere a che fare con l’ingombrante presenza degli uomini. Le italiane, pur scontando un certo ritardo del calcio femminile italiano, si sono fatte valere e hanno conquistato attenzione e simpatia. Hanno partecipato, non hanno trionfato, hanno saputo vincere e perdere con onore: non è poco!

Le americane hanno vinto l’ennesimo titolo con merito ed hanno festeggiato a New York. Anche nel festeggiamento hanno saputo distinguersi. Megan Rapinoe, capitano e simbolo di questa squadra e del movimento in generale, è riuscita a coniugare sport e politica in modo esemplare, rifiutando a priori un eventuale invito alla Casa Bianca: «Non andrei e credo che tutte le mie compagne di squadra con cui ho parlato direttamente non vorrebbero andarci. Non penso che questo abbia senso per noi. Non posso immaginare che qualcuna delle mie compagne possa essere messa in quella posizione; ci sono così tante persone con cui preferirei parlare e avere conversazioni significative, che potrebbero davvero influenzare il cambiamento a Washington, piuttosto che andare alla Casa Bianca. Rapinoe ha fortemente,  e sinceramente attaccato il presidente americano, contestandone la politica ed ha ipotizzato di rivolgersi a lui, fissando la telecamera: «Il tuo messaggio esclude le persone, tu ci stai escludendo, escludi le persone che assomigliano a me. Quello che stai dicendo riguardo al tuo slogan Make America Great Again penso ci riporti in un’era non positiva per tutti».

La giocatrice, omosessuale e impegnata politicamente, ha ribadito quanto aveva già precedentemente dichiarato, annunciando di non voler andare “a quella fottuta Casa Bianca”, anche se avessero vinto il titolo e il presidente avesse chiesto di incontrare la squadra. Un pregio delle donne è quello della schiettezza, che spesso viene confusa con il comportamento irrazionale ed isterico. Al limite, se la vogliamo chiamare così, ben venga anche la coraggiosa isteria (sempre meglio della vile indifferenza maschile) se serve a dire la verità in faccia ai potenti. Megan Rapinoe, con le sue giocate e le sue parole, mi ha consentito di prendere due piccioni con una fava: esprimere direttamente la mia simpatia ed ammirazione per il calcio femminile e ribadire indirettamente la mia più totale e profonda disapprovazione per Donald Trump e la sua “fottuta” politica. Goal!!!