Tutto sbagliato, tutto da rifare

È arrivato il pronunciamento del Gip di Agrigento sulle accuse rivolte a Carola Rackete, la capitana della nave frettolosamente criminalizzata per la sua provocatoria azione di salvataggio di una quarantina di profughi, messi in salvo dalla Sea watch, indirizzatasi al porto di Lampedusa, forzato per l’attracco dopo diversi giorni di vergognosa resistenza governativa. Ha disposto la scarcerazione ritenendo infondate le accuse di reato di resistenza e violenza a nave da guerra nonché di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto il comportamento della capitana era dettato dallo scopo di salvare vite umane. Come volevasi dimostrare. Il castello propagandistico, contro le Ong e a favore della scriteriata linea dura di respingimento, è crollato: è bastata una decisione ragionevole e ragionata di un giudice per far scoppiare la bolla di sapone. Ancora una volta ha avuto ragione il Presidente della Repubblica nel rimettere la questione nelle autonome mani della magistratura. Le stizzite e volgari reazioni salviniane non valgono niente e sono soltanto la ulteriore dimostrazione che il celodurismo è pura millanteria e che sotto il variopinto vestito governativo non c’è niente.

In Libia viene bombardato un centro di detenzione per migranti di cui viene fatta una strage con decine di morti e feriti: probabilmente il drammatico atto bellicoso rientra nello scontro fra il governo di accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e il sedicente Esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar. Temo che questo episodio sia la goccia che fa traboccare il vaso delle illusioni di regolare i flussi migratori tramite accordi bilaterali con gli Stati africani, Libia in primis. Alle condizioni disumane esistenti nei lagher-parcheggio per migranti si aggiunge addirittura la insicurezza di queste strutture a significare l’inaffidabilità dei Paesi con cui si dovrebbe concordare la politica migratoria.

Se è vero che non possiamo accogliere tutti, è altrettanto vero che non possiamo alzare muri e barriere. Le vicende dei centri di detenzione affossano purtroppo anche la prospettiva di una certa qual regolazione dei flussi: i migranti vittime di traffici criminali vengono deviati in centri-prigione e in essi detenuti ai limiti della sopravvivenza; ora tali limiti vengono addirittura superati con veri e propri massacri di gente spinta dal miraggio di una vita migliore, che trova torture e morte, passando dalla padella alla brace. In Libia i migranti sono carne da cannone, una sorta di scudo umano per i conflitti intestini: cosa ne penserà Sarkozy, il principale ispiratore della inutile e funesta guerra contro la Libia di alcuni anni or sono; riuscirà a dormire tranquillamente nelle braccia di Carla? In Europa i migranti sono carne da buttarsi in faccia nei giochi allo scaricabarile tra partner comunitari.

La politica del salviamoli a casa loro è tardiva e impossibile. Allora? Nessuno ha la ricetta in tasca, men che meno Salvini. Anche la sinistra risulta piuttosto spiazzata e titubante. L’Unione Europea deve trovare la sensibilità e la capacità di affrontare e governare comunitariamente il fenomeno, che non ha le proporzioni bibliche strumentalmente sciorinate, ma che deve essere considerato una sfida per gli anni, e forse i decenni, a venire. Accoglienza e integrazione sono le due facce della medaglia. Se guardo l’Italia tendo alla sfiducia, se guardo alla Libia tendo alla disperazione, se volgo lo sguardo all’Europa non saprei cosa dire, vorrei tanto sentire il parere dei pensatori che l’hanno concepita e dei padri politici che l’hanno fondata. Fra qualche giorno, precisamente l’11 luglio, sarà la festa di san Benedetto, patrono d’Europa. Solo lui può aiutarci.