Tra integrazionismo e razzismo

L’occasione fa l’uomo ladro, la migrazione fa il cittadino razzista. Stiamo assistendo a una diffusa tendenza alla discriminazione e all’odio razzista? Qualcuno alza le spalle e finge di non vedere, qualcuno sostiene che si tratti di manifestazioni marginali e da considerare “normali” pur nella loro evidente inaccettabile trasgressività, qualcuno si rassegna ai corsi e ricorsi storici che hanno sempre visto esplodere il razzismo in concomitanza con migrazioni a livello interno e internazionale, qualcuno si consola pensando alla impossibilità di ripetere le esperienze del secolo scorso (siamo stati troppo cattivi per tornare ad essere tali), qualcuno (purtroppo pochi) lancia l’allarme ed alza la voce.

C’è allora, nel nostro Paese, questo disgustoso rigurgito razzista che trova la sua espressione nei confronti degli immigrati? Rispondo con una ulteriore domanda. Cosa sarebbe successo se l’episodio che ha visto una donna italiana, piuttosto alticcia, investire e uccidere due albanesi nei pressi di una discoteca alle luci dell’alba, fosse capitato a parti invertite? La notizia è passata quasi sotto silenzio. Figuriamoci se due albanesi in stato di ebrezza avessero travolto e causato la morte di una ragazza italiana all’uscita di una discoteca: si sarebbe scatenata una furia opinionistica, si sarebbe alzato un coro di protesta verso gli stranieri ladri, stupratori, alcolizzati, drogati, etc. etc. Non mi sento di criminalizzare quella donna protagonista della vicenda: l’iter processuale ne stabilirà eventuali responsabilità, condanne e pene. E allora perché quando succede che a commettere un reato sia un immigrato parte la generalizzazione, la squalifica globale e il senso di repulsione verso gli stranieri barbari invasori? Se non è razzismo, cos’è?

Poi, qualche volta, succede che un immigrato si renda protagonista di un gesto di generosità, e allora tutti corrono a mettersi a posto la coscienza, contrapponendo ai pochi buoni un’orda di cattivi. Gli immigrati non sono né buoni né cattivi, sono uomini come noi, costretti a vivere situazioni drammaticamente difficili, messi di fronte al bivio tra il rifugio esistenziale nella delinquenza e il difficile percorso dell’integrazione sociale. Noi pensiamo di risolvere il problema enfatizzando la scelta delinquenziale e ponendola al pubblico ludibrio non capendo che invece il problema va affrontato partendo dall’integrazione di queste persone nel nostro tessuto sociale ed economico, partendo soprattutto e innanzitutto dal loro lavoro, che tra l’altro ci è utile per non dire indispensabile.

A questi soggetti prima bisogna offrire un’accoglienza degna di questo nome, una chance di inserimento, una occasione di guadagnarsi da vivere lavorando onestamente, poi si potrà perseguire chi delinque e chi preferisce la scorciatoia dell’illegalità. Invece stiamo stringendo gli immigrati in una morsa fatta di pregiudizi e spesso offriamo loro due possibilità: essere sfruttati di brutto, lavorando con paghe assurde e vivendo in modo bestiale, oppure darsi alla latitanza delinquenziale diventando protagonisti attivi e passivi di droga, prostituzione, etc. etc.

Il fenomeno migratorio, che peraltro non ha la dimensione catastrofica che vogliamo strumentalmente far credere, è complesso da tutti i punti di vista e va affrontato con senso umanitario e con capacità politica ed organizzativa. La deriva razzista non serve a nulla se non a far stare male tutti. Mio padre, pur essendo un libero pensatore di sinistra, bollava le velleità comuniste osservando, forse un po’ semplicisticamente, come i regimi dell’est riuscissero a far star male tutti anziché provare problematicamente a far stare meglio tutti. Il discorso vale per il razzismo: criminalizziamo gli immigrati, ci autocriminalizziamo a livello culturale e sociale, creiamo un clima conflittuale e asfissiante mettendo in contrapposizione le povertà autoctone e di importazione, gridiamo al lupo, alziamo barriere e non capiamo di avere tutti tutto da perdere. Contenti noi…