La verità (poco) diplomatica che offende

“La lontananza, sai, è come il vento, spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi”: così dice una famosa canzone del grande Domenico Modugno. Il discorso vale per gli amori, ma, forse, anche per le impressioni. Da tempo e da lontano ho una pessima opinione del presidente americano Donald Trump. A quanto pare, non sono l’unico. A ragion veduta e da vicino mi fa da battistrada l’ambasciatore britannico in Usa kim Darroch, secondo il quale l’amministrazione Usa sarebbe “inetta” e “vanitosa”.

Trump, che sembra andare alla spasmodica ricerca di incidenti diplomatici, ha aperto la crisi affermando su Twitter: «Non conosco l’ambasciatore, ma negli Stati Uniti non piace o non se ne pensa bene. Non avremo più nulla a che fare con lui». Il presidente americano però non si è accontentato di liquidare l’ambasciatore britannico, ha infierito sull’uscente premier britannica Theresa May. In un paio di tweet l’inquilino della Casa Bianca ha scritto: “Sono stato molto critico del modo in cui il Regno Unito e il premier Theresa May hanno gestito la Brexit. Che casino che lei e i suoi rappresentanti hanno creato. Le avevo detto come avrebbe dovuto fare, ma lei ha deciso di fare diversamente”.

Agli inglesi sta molto bene: si sono da sempre appiattiti sulla politica americana e su quella trumpiana; hanno deciso di uscire dall’Unione Europea anche sulla spinta dell’attuale presidenza Usa, che non si è fatta scrupolo di interferire al riguardo, prima e durante la Brexit, come è apparso in tutta evidenza dall’ultima visita di stato in Gran Bretagna. Adesso si trovano ad essere clamorosamente beffeggiati. Intendiamoci bene: stanno venendo a galla delle verità su Trump e la sua amministrazione come su Theresa May e la sua confusione. Si stanno scambiando “complimenti vivissimi”. L’ambasciatore britannico ha innescato una polemica “interessante”: tutto è destinato a rientrare, ma certe parole potrebbero lasciare il segno.

Morale della favola al di là delle scaramucce diplomatiche: il mondo è in mano a una manica di incapaci e di irresponsabili. Quando appaiono sul video, mi vengono i brividi. Fra Trump, Putin, Xi Jinping, kim Jong-un, Netanyahu e c. non saprei chi scegliere. Ho espresso questo sconcerto in un recente colloquio con un mio conoscente, il quale, molto più maggiorenne e vaccinato del sottoscritto, mi ha risposto con rassegnazione che questi personaggi non fanno che interpretare il copione del potere.  In parte ha ragione, solo in parte. Un Trump non vale un Obama, un Netanyahu non vale un Peres, una May un Blair e via discorrendo. Il cinismo della politica dovrebbe trovare almeno qualche limite. Forse sono un illuso, ma, pensando a Giorgio La Pira, credo che si possa lavorare alacremente per assetti internazionali diversi anche e soprattutto partendo da uomini diversi.

Mi complimento con l’ambasciatore Kim Darroch, che ha avuto il coraggio di sciacquarsi la bocca e di dire la verità. Non resta che sperare in un rigurgito di storica civiltà, di autorevole autonomia e abile diplomazia da parte dell’Europa e in una liberazione italiana dal gioco populistico amoreggiante verso Trump e Putin.  Devo ammettere però che anche Putin ha recentemente detto una grossa verità in riferimento alla situazione libica: il casino è stato creato dai Paesi della Nato, Francia in testa, che sono entrati con l’avida e spregiudicata delicatezza di un elefante nella intricata e sporca cristalleria mediorientale. Purtroppo nessuno è senza peccato e tutti scagliano pietre. Al momento il convento ci passa una minestra trumpiana, un secondo piatto putiniano, un contorno coreano, una frutta cinese e un dolce-amaro europeo. Urge qualche cuoco fantasioso.