La guerra dei martiri o l’armistizio della legalizzazione?

Ho rinunciato a capire l’antefatto dell’uccisione del carabiniere in quel di Roma: ricostruire la vicenda servirà alle forze dell’ordine per non andare allo sbaraglio in un mondo rischiosissimo come quello delle tossicodipendenze; servirà alla magistratura per accertare responsabilità, processare e punire i colpevoli; servirà ai giornalisti che, per mestiere, dovrebbero appurare e presentare la verità oggettiva; servirà ai politici per avere elementi di valutazione al fine di intervenire a livello legislativo ed esecutivo sul discorso delle tossicodipendenze e del mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Mi sono tuttavia chiesto: la legalizzazione delle droghe potrebbe almeno contenere la follia dei consumatori, ridimensionare il ruolo degli spacciatori, mettere in difficoltà il narcotraffico, evitare di lasciare sul campo oltre ai morti per overdose quelli che per mestiere sono costretti a mettere il dito nel covo di vipere?

In linea teorica sono contrario a legalizzare i fenomeni anomali solo per salvare il salvabile: la legalizzazione prende atto del problema insormontabile, tenta di smorzarlo, ma finisce con l’allargarlo. Tuttavia non condivido nemmeno chi si nasconde dietro la coscienza per salvare la faccia, lasciando le cose come stanno, illudendosi di combattere certi fenomeni con la repressione e la criminalizzazione, immolando sull’altare chi si trova in prima linea a combattere a mani nude.

A chi si imbatte nella criminalità, micro o macro che sia, esistente nel campo delle droghe, una coltellata nella schiena non la toglie nessuno. Dobbiamo essere seri ed ammetterlo: o le forze dell’ordine hanno la capacità di combattere, a tutto campo ed a tutti i livelli, questo fenomeno malavitoso oppure, se si limitano a pizzicare qua e là, corrono rischi tremendi. Chi tocca muore: vale per le tossicodipendenze, per la prostituzione, per le varie mafie.

Non si può certo convivere con questi fenomeni malavitosi e, in certa misura, la legalizzazione può essere considerata una forma garbata di convivenza. Si sappia però che la guerra bisogna saperla fare con i mezzi giusti, le armi opportune e le strategie complessive. L’occasionale retata, l’intervento spot, le tattiche di sopravvivenza non servono, anzi mettono a repentaglio chi ha la sfortuna di trovarsi in mezzo al traffico. Anche la benemerita opera di recupero chiude la stalla quando i buoi sono scappati. E allora? Sono pieno di dubbi. Le risposte facili le lascio ai demagoghi e ai populisti: loro sì che se ne intendono! Anche perché questi problemi fanno parte della nostra (in)civiltà e qui il discorso si fa ancor più difficile al limite dell’impossibile.