Il governo non c’è e si vede

A livello governativo ci sono sul tavolo quattro questioni molto rilevanti: i rapporti con la Ue per la definizione degli organigrammi istituzionali, la manovra economica per il prossimo anno, l’autonomia regionale e i rapporti fra Parlamento e governo in generale e nello specifico relativamente al presunto “Russiagate”.

Il voto sulla nomina di Von der Leyen a presidente della Commissione Europea ha spaccato i parlamentari riconducibili alla maggioranza italiana: i leghisti hanno votato contro e i grillini a favore, evidenziando una grande differenza strategica e tattica.

Sulla manovra economica non solo si vedono divergenze di contenuti, con l’infinito balletto della flat tax, ma addirittura si assiste a trattative parallele tra Lega e parti sociali da una parte e dall’altra il dialogo, tuttora in stand by, ad iniziativa del governo con le stesse parti sociali: si è verificata una vera e propria falsa partenza leghista, bollata come scorrettezza istituzionale (sic!) dal premier stesso, ormai in vena di aprire i rubinetti.

Sull’autonomia regionale le forze politiche di maggioranza non riescono a trovare la quadra: mentre la Lega spinge sull’acceleratore, il M5S schiaccia il freno, Salvini vuole onorare il debito verso le regioni e le ragioni del Nord, i pentastellati non vogliono perdere il filo di contatto con l’elettorato del Sud.

Sul Russiagate Matteo Salvini snobba bullisticamente il Parlamento mentre il premier Conte sacralizza il rapporto con le Camere e si appresta a rispondere alle loro richieste di chiarimento, per quanto potrà, sulla vicenda degli eventuali fondi russi e sulla delicata commistione tra affari e politica internazionale, ma soprattutto sulle linee di politica estera del nostro Paese.

Non abbiamo convergenze parallele, ma divergenze incrociate. Non esiste da tempo una plausibile linea comune nel governo Conte, su tutto ci sono diversità rilevanti e incompatibili. Non si tratta, come si continua a ciarlare nei media, di capire quando finirà il governo pentaleghista, ma di prendere atto che è già finito anche se sopravvive per l’accanimento terapeutico dei due partiti, che giocano continuamente di rimessa temendo di scoprirsi troppo formalizzando una rottura sostanziale presente nei fatti.

Nella cosiddetta prima repubblica si aprivano le crisi di governo con eccessiva disinvoltura, ora la crisi di governo non ha soluzione di continuità e l’eccezione di qualche sporadico accordo conferma la regola della discordia: il contratto è da tempo nel cassetto e non poteva che finire così. È meglio un cattivo governo che nessun governo. Ebbene stiamo riuscendo a soffrire contemporaneamente entrambe queste eventualità. Di questo triste periodo di vacanza dalla politica soffriremo le conseguenze per parecchio tempo. Viva Salvini, Viva Di Maio, viva Conte!