E (non) stiamo a guardare le stelle

L’ex ministro Dario Franceschini, esponente di spicco del Partito Democratico, ha giocato d’anticipo rispetto all’involuzione politica in corso e in una intervista ha proposto l’apertura di un dialogo con i Cinquestelle. Egli ritiene un errore aver assimilato, in un respingimento totale, Lega e M5S e di conseguenza aver chiuso i ponti con l’elettorato grillino, in buona parte proveniente dalle file della sinistra.

Ne è scaturita immediatamente una contrapposizione con renziani, calendani e altri gruppi ed esponenti PD: il segretario Zingaretti mi è parso di capire che si attesti su un’interpretazione minimalista del pensiero franceschiniano, vale a dire sulla presa d’atto che nella maggioranza di governo ci sono due forze politiche diverse e quindi bisogna evitare che diventino un blocco, senza per questo ipotizzare improponibili accordi con i pentastellati, peraltro acidi, riottosi e presuntuosi come non mai (giovani e antipatiche zitelle in cerca di mariti impossibili).

Al di là dei toni durissimi e dei battibecchi, che dimostrano come la convivenza all’interno del Pd sia sempre più problematica, il ragionamento di Franceschini non è da buttare nella pattumiera, come fa Renzi. Quando ho ascoltato in rassegna stampa l’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ho intravisto immediatamente l’edizione riveduta e (s)corretta del patto costituzionale fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. La Dc era sfilacciata e divisa tanto come il PD, ma poteva contare su una classe dirigente di alta levatura ideale e politica; il Pci era un partito serio, dotato di grande senso di responsabilità a livello istituzionale, di cui il M5S è la pessima caricatura in senso velleitario e moralisticheggiante.

È pur vero che, in mancanza di meglio, le nozze si possono fare anche coi fichi secchi, ma mi sembra effettivamente un po’ eccessiva l’apertura di credito franceschiniana: se andiamo bene a vedere non sono poi tante le differenze fra Lega e M5S. Non so se accenda più odio Salvini con le sue muraglie marittime o Di Maio con le sue insulse e cerchiobottistiche posizioni. Non so se sia preferibile la strumentale difesa della centralità dello Stato alla barricadera autonomia regionale rafforzata. Non so se sia meglio il no pregiudiziale e giustizialista alla Tav e a certi investimenti infrastrutturali rispetto all’affaristica voglia di opere pubbliche. Non so se alla chiusura drastica verso il fenomeno migratorio sia da preferire il comportamento da pesce in barile dei grillini. Non so se faccia più pena la collocazione europea dei leghisti o l’europeo girovagare senza meta dei pentastellati.

Forse mentre il dialogo con la Lega appare francamente assurdo, quello col M5S non è così paradossale e schifoso. Non vorrei che il discorso dei rapporti con i grillini diventasse il pretesto politico per coprire il vuoto ideale, strategico e programmatico del partito democratico. Capisco il dente avvelenato di Renzi, ma non si può fare politica con i risentimenti e le pulsioni emotive. I renziani, oltre tutto, dovrebbero anche guardare in casa propria e non ergersi a salvatori della patria. Probabilmente sarà il tormentone a sinistra di questa estate. Al momento lascerei che la situazione governativa si chiarisse, rispetterei gli orientamenti di Mattarella, metterei davanti a tutto gli interessi del Paese e proverei a ricompattare nei fatti il Pd, un partito dilaniato dagli ideologismi, dai personalismi, dai burocratismi, dalle ripicche e dai richiami delle anacronistiche foreste (senza essere sicuro che sia possibile, diversamente…).