Bove mancino non si pianti nel fango

Mi sembra ci siano troppi esponenti politici di primo piano riconducibili, bene o male, alla sinistra, che pensano ad un nuovo partito, che vada oltre o addirittura contro il Pd. Sta diventando un esercizio in cui molti si impegnano e mi spaventa l’idea che possa diventare solo il gioco politico dell’estate. Non c’è dibattito, intervista, editoriale, discussione in cui non venga posto questo problema.

C’era una vecchia e simpatica canzona napoletana scritta nel 1944 da Raffaele Cutolo (parole) e Giuseppe Cioffi (musica) con la celebre interpretazione principale di Nino Taranto: Dove sta zazà. Il brano ebbe un enorme successo e fu tradotto in varie lingue, oltre ad essere citato da pubblicazioni di ogni genere. Ad esso si ispirarono diverse rappresentazioni teatrali, principalmente riviste e un film cinematografico. Cutolo, arrivando quasi a rinnegarla, descrisse Dove sta zazà definendola “una canzoncina cretina come tutte le altre”. La canzone racconta la misteriosa scomparsa di una donna di nome Zazà nel bel mezzo della festa di San Gennaro, dove si trovava insieme al compagno di nome Isaia, che è anche il narratore dell’intera vicenda. Dopo averla cercata invano, Isaia torna l’anno seguente alla festa, dichiarando però che, se non troverà Zazà (che è tanto bella), si accontenterà di sposarne la sorella.

Ho fatto questo tuffo nel passato, perché mi sembra che si possa mettere tranquillamente il Partito Democratico al posto di Zazà: Dove sta il piddì. La ricerca invece rischia di diventare, per dirla con Cutolo, “una questioncina cretina come tante altre”. In questo momento tutti stanno parlando nella mano a Nicola Zingaretti, il nuovo segretario, che, per la verità, non mi entusiasma. Ma questo conta poco.

Passo in rapida rassegna alcuni che stanno pensando a una nuova “cosa” di sinistra: Matteo Renzi, Carlo Calenda, Giuseppe Sala, senza dimenticare l’assordante brusio in campo cattolico. Si fa un gran parlare di ritorno alla logica del centro moderato, quel centro di degasperiana memoria, che dovrebbe guardare a sinistra, quella moderazione di morotea memoria, che dovrebbe far digerire ai cattolici, prevalentemente di destra, una politica orientata al progresso sociale e all’evoluzione politica. Mentre Renzi evoca questo glorioso passato senza avere le basi culturali e il carisma per riproporlo in chiave moderna, e Calenda tende a enfatizzarne i contenuti governativi di stampo liberale, liberista e libertario (per dirla con Marco Pannella) senza possedere lo spessore politico strategico, Giuseppe Sala (ringalluzzito e rinvigorito dal recente successo in chiave olimpica) si considera un moderato radicale, che, evitando la orizzontalità della politica  e le etichette (destra, centro, centrodestra, sinistra, centrosinistra), propone di parlare dei temi (giustizia sociale e ambiente) per connotare la sinistra progressista.

Hanno ragione tutti: chi infatti può negare che l’area di centro debba essere attenzionata e coinvolta non tanto come luogo politico ma come modo di porsi di fronte alla realtà politica; chi può trascurare il fatto che la sinistra debba fare i conti con una sistema economico capitalistico profondamente cambiato di cui però non si possono mettere in discussione i presupposti (per arrivare con Giorgio Ruffolo ad affermare, con un pizzico di cinismo, che abbia i secoli contati); chi può essere in disaccordo con un metodo che parta dai contenuti e dai temi forti e caldi per imbastirvi sopra una strategia politica.

Un discorso a parte merita l’inquietudine di un certo mondo cattolico, giustamente vedovo dell’ispirazione cristiana, alla ricerca di una progettualità su cui richiamare a raccolta i cattolici e non solo, per proiettare sul futuro italiano una politica partente dai valori, non per fare il verso alla DC, ma al fine di recuperare un patrimonio attualmente messo in soffitta o in cantina. Si pensi, ad esempio, al discorso dell’immigrazione: forse solo partendo dall’umanesimo cattolico si può arrivare a elaborare una politica seria di gestione del fenomeno.

Mi auguro che questo gran parlare non diventi un ciarpame sinistrorso, una congerie di roba vecchia e di nessun pregio, una tattica per riprendersi dai Knock out elettorali e guadagnare il centro del ring per poi magari perdere ai punti contro i pesi massimi della comunicazione. Ho partecipato spesso all’ansia di rinnovamento della politica ed ai relativi movimenti: quasi sempre si arrivava al nuovo (?) partitino che durava poco e non cambiava niente. Alla cosiddetta fusione fredda del PD non sostituiamo quella calda di non si sa cosa.