Berlusconi for ever

Nel 1994 la politica, uscita piuttosto malconcia da Tangentopoli, fu presa in contropiede da Silvio Berlusconi, che presentò agli elettori una combinazione tra il nuovo partito di centro (Forza Italia), il nuovo partito di destra annidato soprattutto al sud (Alleanza Nazionale), il partito dell’anti-politica annidato soprattutto al nord (Lega). I protagonisti di quella stagione politica erano rispettivamente Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Pur con alterne vicende e fra alti e bassi, l’operazione durò circa un ventennio. Le orge di palazzo, gli ictus cerebrali, le vicende giudiziarie, le velleitarie scissioni, le sputtanate internazionali segnarono la fine di una triste epoca, che ha contaminato la vita politica, lasciandola a metà strada fra un regime e una cronica confusione partitica.

La storia si sta ripetendo, alla faccia di chi esclude questa possibilità, con personaggi, equilibri e partiti relativamente nuovi. Il dominus è Matteo Salvini, leader di una irriconoscibile e rimasticata Lega, che ha mantenuto la vena populista, accentuato la tentazione razzista e ricollocato il partito in una logica nazionalista.  Il gregario di lusso è Giorgia Meloni con i suoi Fratelli d’Italia, leader di un assurdo partitino, che ha perso per strada ogni velleità di democratica revisione destrorsa per riciclarsi in chiave estremista. Due personaggi in cerca d’autore, mentre l’unico rimasto a continuare un certo discorso è Silvio Berlusconi, rimasto, con pochi ma carissimi amici, a reggere la coda di una destra, che fa fatica a sopportarlo e lo riduce al ruolo di vecchio nonno che gira per casa in mutande.

Berlusconi è il leader e il notabile di se stesso: non si capisce se resti in campo solo per difendere a denti stretti le sue finanze o se rimanga nell’agone politico in ossequio al proprio ipertrofico ego e in conseguenza del disturbo narcisistico di personalità che lo tormenta. I consensi forzitalioti si stanno sciogliendo come neve al sole salviniano, tuttavia lui continua a pavoneggiarsi fingendo di non vedere i tradimenti, le congiure, le insofferenze che lo circondano. Confesso di essere passato nei suoi confronti da una sussiegosa repulsione etico-politica a una compassionevole (dis)attenzione pseudo-politica.

Tuttavia, come spesso accade, andava meglio quando andava peggio. Come era bello quando eravamo piccoli e ci “godevamo” le pagliacciate berlusconiane, le sbruffonate bossiane e le dissertazioni finiane. Sembrava tutto uno scherzo, un sogno diventato un incubo, da cui ci siamo risvegliati per ripiombare in una realtà ben peggiore, costretti a vivere con addosso la cattiveria salviniana e la crassa ignoranza meloniana.   Nulla può un vecchietto arzillo e pettoruto, a cui cede la femminil virtù e che tenta disperatamente di giocare ancore le sue carte visibilmente truccate. Resta soltanto una perniciosa amicizia con Vladimir Putin e una disgraziata assonanza con Donald Trump: un precario filo di continuità, quanto rimane del berlusconismo, che funziona ancora da bullistica inculturazione per i senza cultura.