Arrivano i nostri: i lombardo-veneti

Il temporale è nell’aria e da qualche parte andrà a sfogarsi: si intravede una sicura tempesta con una successiva incerta quiete. Mi riferisco al clima governativo, alla crisi strisciante, che ci portiamo dietro fin dalle strane origini del contratto pentaleghista. Più che nel tentativo in extremis di ricomporre il quadro politico, i protagonisti della scena sembrano impegnati nella ricerca del pretesto più plausibile per chiudere col botto un’esperienza travagliata e sconclusionata.

Da sempre si cerca di scaricare sull’alleato la responsabilità della rottura in modo da lucrarne elettoralmente l’impressione negativa, sperando che i cittadini siano in grado di effettuare un’analisi critica tale da passare al vaglio i buoni e i cattivi della vicenda che va a chiudersi. Il M5S ha già i suoi grattacapi, ma forse ha già fatto la cura dimagrante ed è preparato alla prova costume. La Lega invece sembra andare sul velluto, ma forse è ingrassata troppo e i suoi nuovi abiti rischiano di andare stretti e quindi occorre ricercare nell’armadio quelli vecchi più larghi e comodi.

Ecco infatti ritornare di moda l’abito secessionista, riveduto e corretto dai sarti lombardo-veneti. Ai tira e molla governativi sull’autonomia regionale rafforzata il presidente del Veneto Zaia, l’uomo più rappresentativo ed autorevole della periferia leghista, si dice “basito”: «Sono trascorsi 636 giorni dal referendum e più di un anno dalla formazione di questo governo, non c’è neppure l’alibi di dire che le Regioni non abbiano fatto il lavoro che spettava loro. Di fronte a tutto questo non posso non affermare che questa è un’autentica presa in giro e che Conte non può prestarsi a procrastinare ancora. Siamo stanchi anche di sentire dire a Conte che lui sarà il garante dell’unità nazionale, un refrain ormai stucchevole; se sono davvero convinti che tutto quel che facciamo è contro l’unità del Paese, vadano in Parlamento e modifichino la Costituzione. Siamo in un Paese in cui per alcuni applicare l’articolo 116 terzo comma della Carta costituzionale, la legge fondamentale dello Stato, significa minare le basi della Repubblica.  È allucinante, non siamo più disposti ad aspettare, vediamo dichiarazioni che non c’entrano nulla con l’intesa sull’autonomia. A nome dei 2 milioni 328 mila veneti che hanno votato per il sì all’autonomia dico che siamo stanchi, stanchissimi, La misura è colma».

La Lega, dopo essersi impropriamente seduta ai tavoli sovranisti e nazionalisti, sta tirando fuori il proprio mazzo di carte e sta calando un pesante carico. Finalmente la riconosco, perché gioca onestamente e a carte scoperte. Matteo Salvini distratto dagli altri problemi, ha lasciato campo ai governatori leghisti, ha concesso un certo revival alla più genuina anima bossiana. È una mossa tatticamente abile, ma che rischia di dipingere la Lega come la “sfasciacarrozze”, consegnando ai grillini la finta arma della difesa dell’unità nazionale, brandita maldestramente da Giuseppe Conte: «Con l’autonomia lo Stato cede competenze legislative e amministrative alle Regioni, è la prima volta che avviene. Beh, che lo Stato debba cedere tutto può essere auspicio di altri, non è il mio. Il filo conduttore è questo: chi è in cabina di regia di governo, ha bisogno di realizzare strategie nazionali. Se delego tutte le funzioni alle Regioni, quali strategie posso perseguire? Il mio intento è cedere quelle che possono essere svolte meglio dalle Regioni, ma conservando una strategia a livello nazionale».

Se è vero, come è vero, che la Lega ha portato la politica al bar di periferia, invece dei frizzi e dei lazzi da osteria, dei rutti e delle pernacchie da trivio, è un bel passo avanti giocarsi a briscola l’essere padroni in casa propria. Il M5S in questo gioco ha in mano il due di coppe ed è costretto a chiamarsi fuori. Il temporale tende a spostarsi prima da Strasburgo e Bruxelles a Roma, poi da Roma si porta sul “profondo” Nord- Italia. Dove si scaricherà definitivamente lo vedremo. Speriamo non faccia danni irreparabili e non si debba dichiarare lo stato di emergenza costituzionale. Sarebbe la tempesta dopo la tempesta!