Il miglior attacco è la difesa

I normali comportamenti calcistici vogliono che chi subisce un goal reagisca andando all’attacco per recuperare e ottenere almeno un pareggio (a meno che il vantaggio precedente non sia tranquillizzante). Mi sarei quindi aspettato che il M5S reagisse alla batosta elettorale andando precipitosamente all’attacco mettendo alla punta il governo e i suoi sostenitori con proposte fortemente identitarie o addirittura facendo saltare immediatamente il banco (l’attuale dotazione parlamentare infatti non può bastare).

Invece i grillini fanno melina nella loro metà campo, hanno promosso un assurdo referendum abrogativo su Luigi Di Maio, dal risultato scontato (un moderno plebiscito); restano coperti a livello difensivo lasciando all’avversario/alleato l’iniziativa politico-programmatica. Non possono permettersi di contrattaccare per paura di subire il contropiede delle elezioni anticipate, da cui temono di non uscire vivi. Mi sembra un mezzo suicidio! Probabilmente, come prevede la storia della peggior politica, qualche incolpevole testa salterà per dare l’idea che qualcosa cambi mentre tutto rimane come prima e peggio di prima: un parlamentare, un sotto-segretario, un vice-presidente, etc. Generalmente saltano le teste degli esponenti più ingenui, leali e coerenti, quelli che magari non hanno sbagliato niente e vengono sacrificati come agnelli innocenti sull’altare della finta purificazione.

Poi partono le riorganizzazioni, si cerca cioè di sciogliere i nodi politici cambiando qualcosa nella struttura organizzativa, come se perdere milioni di voti fosse un dettaglio da sistemare aprendo qualche ufficio e inventando qualche incarico nuovo. Nel caso in questione si pensa di mettere mano anche al sistema di comunicazione: sembrava una macchina perfetta che stampava consenso, invece bisogna cambiare anche quella.  Si gira intorno al problema, non lo si affronta. Il M5S, nei suoi momenti di fulgore e nei momenti difficili, dimostra di non essere in grado di cambiare la politica, ma di subirla passivamente nei suoi peggiori rituali.

La realtà è che questo movimento non ha classe dirigente. L’altra sera, in un interessante dibattito televisivo, durante il quale si cercava di trovare il bandolo della matassa grillina, ad un certo punto si è cominciato a prefigurare un nuovo leader capace di guidare la rimonta: è uscito il nome di Alessandro Di Battista, il girovago battitore libero. E lì casca l’asino: non c’è preparazione, non c’è competenza, non c’è niente. Non ricordo chi dicesse che per governare non basta avere i voti, ma bisogna soprattutto e innanzitutto esserne capaci. Ora i pentastellati alla perdita dei voti rispondono con la loro presuntuosa ed irrinunciabile ignoranza e con la solita superbia degli incapaci. Vorrei capire cosa cambierebbe se al posto di Luigi Di Maio andasse Alessandro Di Battista: dalla padella alla brace. Il nome alternativo viene fatto nel senso di prevedere un ritorno grillino alla fase dei vaffa o giù di lì. Temo che quel periodo sia tramontato e infatti il suo protagonista, Beppe Grillo, se ne sta sostanzialmente al coperto e credo che gli stia scappando da ridere, nonostante gli appoggi rituali al gruppo (?) dirigente (?).

Mentre il M5S non contrattacca, la Lega impazza. Sono entrambi senza strategia e si limitano alla tattica. Non pensano certamente alle prossime generazioni, non ne hanno nemmeno la potenziale capacità, forse non pensano neanche alle prossime elezioni. Qualcuno sostiene autorevolmente che tra queste due formazioni politiche, esista una differenza importante. Mentre i grillini non hanno storia e radicamento culturale, territoriale e politico, i leghisti hanno una ormai lunga storia, sono presenti nelle amministrazioni locali con autorevoli e capaci personaggi, sanno destreggiarsi politicamente a tutti i livelli. Qualcosa di vero in questa analisi c’è. Però la storia leghista è una contraddizione continua, l’abilità amministrativa è una vernice piuttosto fresca con la quale, nonostante i bollori lombardo-veneti, ci si può sporcare, la politica è un’arte che non si impara amministrando comuni e regioni e nemmeno sbraitando ideologie passatiste. Quanto alla cultura, è meglio lasciar perdere!

A proposito di vernice e di pittura fresca leghista: a mio padre, imbianchino provetto, a volte capitava l’inconveniente di sporcare qualche passante. Allora non esistevano polizze casco, nemmeno quelle “berretto” e bisognava far fronte in qualche modo all’accaduto. Mio padre in quelle occasioni rispolverava le sue doti diplomatiche ed aggirava brillantemente l’ostacolo, fornendo al malcapitato valide istruzioni per eliminare il danno. Se il soggetto lamentava una qualche macchia cagionata da un fortuito spruzzo di “pittura”, il consiglio era il seguente: “Ch’al s’ preocupa miga! Quand al riva a ca’, al toz un strasén bagn a al gh’la pasa insimma e po’…”  voltandosi, fra sé e sé, aggiungeva sottovoce: “E po’ al butta via ‘l vestì”.