Eutanasia di un governo

I commentatori e gli esperti in materia politica si stanno esercitando, con poca sana fantasia e molto inevitabile cinismo, nel prefigurare modi e tempi per l’imminente fine del governo Conte. I ragionamenti plausibili partono da una realtà piuttosto evidente.

La Lega di Salvini (aggiungo il complemento di specificazione, perché non sono ancora convinto che questo partito sia sistematicamente personificabile nel suo leader rampante e vincente e nella sua vanesia ideologia) non può riuscire a gestire questa compromettente affermazione elettorale dall’interno del governo: i temi programmatici ad essa connaturali, confermati e rilanciati dalla fiducia dei votanti, non sono assoggettabili a compromesso, ma richiedono anzi una spinta massimalistica e radicale. Mi riferisco alla sicurezza, alla tassazione, all’autonomia regionale, etc.

Il M5S, entrato confusamente e maldestramente in crisi d’identità e di leadership, non può assorbire la batosta inflittagli dagli elettori, rimanendo a fare la stampella ortopedica di un governo perennemente sull’orlo della caduta, rinunciando ai temi che gli hanno consentito di raccogliere il consenso nel bacino protestatario dell’antipolitica, vale a dire la lotta alla corruzione, il perbenismo economico-sociale, il rapporto diretto coi cittadini, etc.

Se la Lega vuole cavalcare la tigre, non la può addormentare e trasformare nel “gatto puzzolone”.  Se i grillini vogliono recuperare la loro iniziale verve protestataria e antipolitica, non possono rimanere prigionieri nel castello giallo-verde, ma devono aventinizzarsi sulle piazze e/o parlamentarizzarsi come opposizione dura e pura.

Partendo da questi presupposti, il governo, nonostante le infantili e stucchevoli rassicurazioni di Giuseppe Conte, è destinato in breve a cadere, aprendo scenari incerti e inquietanti per il Paese. Ai firmatari del contratto non resta che trovare la clausola da impugnare per potere defilarsi clamorosamente, dando l’impressione di meritare il risarcimento elettorale. Entrambi non hanno che l’imbarazzo della scelta per togliersi di dosso questa camicia di forza, confezionata da sarti sprovveduti e maldestri. Si è aperta una partita giocata sul filo del rasoio da barbieri grossolani e incompetenti. Forse siamo più vicini alla fine di quanto si possa pensare e di quanto si possa desumere dalle ipocrite dichiarazioni ufficiali.

È inutile tenere in vita il moribondo, introduciamo surrettiziamente l’istituto dell’eutanasia e sgombriamo il campo. Temo però che il funerale non lo si faccia tanto al governo, al morto che giace, ma al vivo non si può dar pace. Mi riferisco all’Italia caduta nel bigoncio del sovranismo, depotenziata politicamente a livello europeo, inserita incestuosamente in una triste combriccola di partiti e paesi antieuropei, condizionata da un crescente e imbarazzante debito pubblico, ricattata dai mercati finanziari assetati di equilibri finanziari. Stiamo scriteriatamente mangiando nella trattoria euroscettica, sperando che qualcuno in Europa paghi il nostro conto. Abbiamo ricominciato a insolentire Bruxelles pensando che la miglior difesa sia sputtanare il compagno di squadra e l’allenatore. Ci puzza di governo Monti bis (con tutto il rispetto per quel governo), magari senza Monti e navigando nei mari dei sacrifici, che qualcuno dovrà pur imporci.