Le ridondanze faziane e faziose

Da parecchio tempo si discute di tetto agli stipendi in Rai, contrapponendo le esigenze dell’etica retributiva con quelle delle regole del mercato televisivo. Viviamo in un sistema capitalistico dove il gioco della domanda e dell’offerta dovrebbe caratterizzare i rapporti economici, salvo il fatto che da entrambe le parti si vengano a creare sotto diverse forme veri e propri monopoli o almeno oligopoli. C’è poi il discorso dei diversi poteri contrattuali, che si misurano in modo squilibrato e talvolta iniquo. Il sistema radio-televisivo non è immune da queste storture.

Non mi scandalizzo pertanto se lo Stato tenti di introdurre limiti e vincoli ad uno strano ente, sottoposto al controllo parlamentare, orientato a livello gestionale dal governo, finanziato in modo consistente coi soldi provenienti dai contribuenti. Forse, come spesso accade, si va alla ricerca scandalistica delle incongruenze anziché elaborare strategie che (ri)portino la Rai nell’alveo di una programmazione rispettosa degli interessi collettivi.

Esiste una jungla retributiva al massimo rialzo; esiste il clientelismo politico al minimo rispetto dell’obiettività; esistono evidenti ma opache promozioni e retrocessioni; esiste un carrozzone mangiasoldi che oscura le pur presenti eccellenze a livello culturale e informativo. La pietra dello scandalo, che sembra riassumere tutte le contraddizioni, è da qualche anno il compenso al giornalista-intrattenitore Fabio Fazio che svetta su tutti. Non entro nel merito del suo valore professionale, peraltro innegabile, e non vado alla ricerca di altri personaggi Rai più o meno nelle stesse condizioni contrattuali: è un infantile gioco che non mi interessa e non porta da nessuna parte. Capisco, ma non condivido la difesa d’ufficio dei super-pagati, i quali si nascondono dietro il dito dei profitti arrecati all’ente col loro lavoro. È un pericoloso meccanismo che tende a giustificare tutto, a sacrificare il bello, a manovrare il buono, a pescare nel torbido.

Come spesso mi accade, vado a prestito dai sani anche se troppo semplici ragionamenti paterni. Mio padre che non era capace, per sua stessa ammissione, di farsi pagare per il giusto, che non osava farsi dare del “lei” dai garzoni, che aveva uno spiccato senso del dovere e non concepiva, nella sua semplicità di vita, questi lauti ed enormi guadagni, sogghignava di fronte agli scandalosi ingaggi: “Mo co’ nin farani äd tutt chi sòld li, magnarani tri galètt al di?”  Scherzi a parte mio padre era portatore di un’etica del dovere, del servizio e reagiva, alla sua maniera, alle incongruenze clamorose della società.

Vorrei porre a Fabio Fazio ed ai suoi super-pagati colleghi la graffiante e provocatoria domanda-riflessione proposta da mio padre. Quando tutti spingono, la soluzione è quella di aprire improvvisamente la porta: nel caso in questione l’apertura dell’uscio Rai potrebbe essere una consistente “autoriduzione” di stipendio. So benissimo che i problemi di equità salariale non si risolvono con i gesti di buona volontà. So benissimo che ridursi lo stipendio potrebbe significare la sottovalutazione della propria professionalità. So benissimo che la guerra dei compensi alla Rai cela una spasmodica ricerca di appoggi mediatici alla politica. So benissimo che gli sprechi in Rai e altrove sono parecchi, tali da oscurare le vivide ridondanze faziane e faziose. Ammetto e (non) concedo tutto.  Ma un bel gesto aumenterebbe la stima verso Fazio e verso i suoi colleghi. Poi parliamo d’altro, vale a dire di contenuti e Dio sa se non ce ne sia bisogno.