La fede socialista, la speranza verde e la carità senza risorse

Partendo dai dati europei bisogna osservare che, a dispetto degli exit poll olandesi e dei risultati spagnoli, i socialisti sono usciti sconfitti dalle urne. A parziale compensazione del loro ridimensionamento vi è l’affermazione significativa dei Verdi.

I motivi del successo delle liste verdi sono dovuti a tre fattori fondamentali: lo storico significato della loro presenza in certi Paesi, quali la Francia e la Germania, laddove sono guidati da personaggi culturalmente e politicamente rilevanti; la versione in positivo che riescono a dare all’ansia di rinnovamento della politica: una sorta di antipolitica intesa in senso propositivo e costruttivo; la capacità di coniugare il respiro sociale e solidaristico  con il discorso della difesa ambientale: uomo e natura, le due facce della stessa medaglia, come sostiene innovativamente papa Francesco.

Il partito socialista è rimasto inchiodato alla sua visione tradizionale al limite del burocratico, ritenuta incongrua dalle nuove generazioni e da chi vive in gravi difficoltà. La mancanza di un apporto importante da parte delle forze tradizionali della sinistra si farà sentire e sposterà ulteriormente gli equilibri europei, Verdi permettendo, verso un’area a metà strada fra il liberalismo e la conservazione. Se presumibilmente verrà raggiunto un accordo fra liberal-democratici, popolari, socialisti e verdi, ci troveremo imbalsamati in un compromessone inconcludente e incapace di portare la Ue verso la Federazione con una indispensabile riforma istituzionale, che riesca a superare le pastoie di una commissione e di un consiglio ostaggi dei governanti dei Paesi membri, in un equilibrio paralizzante e di pura sopravvivenza.

È pur vero che i quattro raggruppamenti di cui sopra si dicono apertamente “europei” e possono mettere in buca gli euroscettici, usciti comunque con risultati a macchia di leopardo e complessivamente deludenti rispetto alle previsioni. Non basta però evitare il peggio, bisogna rilanciare forte il processo di integrazione.

Il partito democratico in Italia esce relativamente e solo percentualmente rafforzato: i dati delle elezioni europee ed anche quelli amministrativi gli ridanno fiato. Faccio tuttavia fatica a giustificare la debacle in Piemonte della ricandidatura di Sergio Chiamparino, un personaggio abbastanza coerente e credibile, lontano dalle burocrazie post-comuniste, legato alle problematiche del suo territorio, uomo non fazioso e ragionevole. Succede anche a lui quanto successe a Piero Fassino in comune di Torino. Questi uomini, a torto o a ragione, vengono associati alla vecchia nomenclatura della sinistra storica e regolarmente sconfitti quando vengono attaccati da candidature nuove, a prescindere dal loro scarso contenuto personale e programmatico.

Il partito democratico se fa un bagno di realismo e di pragmatismo viene accusato di tradimento ideale; se ripiega sulla propria storica identità viene tacciato di passatismo; se scommette sul nuovo che avanza viene ributtato all’indietro; se si àncora al passato viene beffeggiato e considerato come un arnese della vecchia ideologia politica. Deve poi fare i conti anche con il tarlo del frazionismo: che significato ha avuto ad esempio la presentazione della lista “Più Europa”, che non ha superato lo sbarramento del 4%?

Credo che le difficoltà socialiste dipendano sostanzialmente dalla estrema problematicità di gestire i processi nel post-welfare, con poche risorse disponibili, alle prese con tante sofferenze sociali e con un’economia che avrebbe bisogno di grandi spinte mentre mancano le risorse pubbliche per imprimerle. La sinistra deve fare quadrare i conti della lotta alle povertà con la necessità di non scassare i conti stessi in modo dissennato. Non è una scommessa facile…