La farsesca guerra all’ultimo no

Qualcuno mi ha fatto osservare che sarei troppo attento alle menate pentaleghiste. In effetti un recente sondaggio ha rivelato che gli italiani sarebbero molto più interessati alle diete dimagranti e a roba del genere piuttosto che al triste spettacolo teatrale della politica avvitata nelle risse da cortile tra Lega e M5S. Da una parte potrebbe anche essere consolante, ma dall’altra significa che degli attuali politicanti non frega niente a nessuno, salvo poi disgraziatamente votarli. E allora meglio scongiurare il pericolo, parlandone prima, seppure con un po’ di nausea.

A detta di Salvini i cinquestelle costituirebbero i partner governativi del “no”: ad autonomia regionale, a flat tax, a sicurezza bis, a cantieri già pronti. Senonché lo stesso leader leghista diventa immediatamente l’isterico “signornò” sui migranti: «La Sea Watch chiede un porto? La mia risposta è no, no, no e no. E non c’è presidente del Consiglio né ministro 5 stelle che tenga, nessuno pensi di ordinarmi di far arrivare le navi coi migranti. In Italia i trafficanti di esseri umani non arrivano. Se questo mi costa un processo, processatemi. Se qualcuno pensa di riaprire i porti, è no».

Il contratto matrimoniale si basa su dei “si”, il contratto di governo tra Lega e M5S si basa sui “no”: è questo il cambiamento? Un matrimonio atipico consumato in camere separate, un amore ben più che “litigarello”, una baruffa in cui fa da imbranato paciere il premier Conte, costretto a precisare: «Il presidente del Consiglio non dà e non ha mai dato ordini. Come previsto dall’articolo 95 della Carta, dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Coordina l’attività di tutti i ministri, nessuno escluso». Fonti di Palazzo Chigi aggiungono: “Il premier Conte non partecipa alla competizione elettorale e non si lascia certo coinvolgere nella dialettica che le sta caratterizzando. Piuttosto invita tutti i ministri a mantenere toni adatti a chi rappresenta le istituzioni”.

Se Matteo Salvini si sente in dovere di affermare “qui comando io”, vuol dire che il suo carisma ministeriale scricchiola assai. Che non gli capiti quel che successe a me in una improvvisata squadretta di calcio partecipante ad una competizione di quartiere: mi autopromossi capitano e guidai la compagine ad una disfatta clamorosa. O che non faccia la figura di quel marito, il quale, per schivare gli improperi e le bastonate della moglie, si rifugia sotto il letto. Al reiterato e autoritario invito della moglie ad uscire dal penoso nascondiglio, egli, con un rigurgito di machismo, risponde: «Mi  fagh cme no vôja e stag chi!».

Mio padre diffidava molto di quanti al bar si vantano di esercitare in famiglia un potere assoluto nei confronti di moglie e figli: scoprendo gli altarini, si verifica che le cose generalmente stanno in modo diverso e che il leone del bar si trasforma in pecora non appena varca la soglia di casa.  Credo che Salvini, vedendo messa continuamente in discussione la sua influenza politica quale leader di partito, ministro e vice-premier, senta la necessità di alzare la voce e picchiare i pugni sul tavolo. La domanda che in molti si pongono è se si tratti di tattica pre-elettorale o di sostanziale divergenza di vedute all’interno della compagine governativa giallo-verde.

Chi litiga per scherzo finisce col litigare sul serio: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a  guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». Chi litiga sul serio, se non trova il modo di sancire definitivamente una separazione, diventa assai poco credibile e finisce col coprirsi di ridicolo recitando una parte in commedia. Stiamo a vedere non tanto quanto succederà dopo le elezioni europee, che vengono vissute solo come la costruzione di uno sciocco spartiacque italiano (non tra europeisti ed euroscettici, ma fra aree di influenza di Salvini e Di Maio).  Vedremo invece fino a quando il mondo globalizzato riuscirà a sopportare la locale comica finale, che un tempo si usava far seguire alla rappresentazione di spettacoli drammatici o tragici, e che invece si sta trascinando ben oltre il tempo assegnatole e sta diventando essa stessa dramma o tragedia.