Il pallone (s)gonfiato

Quando un evento viene pompato a dismisura perde il suo proprio significato e diventa una messa in scena fine a se stessa. È successo con la partita di calcio, finale di Coppa Italia, tra Lazio e Atalanta. La drammatizzazione dello scontro calcistico ha favorito se non causato la solita guerriglia urbana: i disordini intorno allo stadio si sono sfogati contro i vigili urbani e i loro automezzi. Non so se ci sia stata una sorta di rivolta freudiana contro la capitolina mancanza di ordine, tale da legittimare il disordine provocato dai tifosi. Fatto sta che gonfia e gonfia, il pallone ha cominciato a sgonfiarsi ancor prima dell’inizio della partita.

Per fortuna i disordini non hanno avuto un seguito all’interno dello stadio dove le tifoserie si sono affrontate come leoni in gabbie separate e alla fine hanno saputo scaricare positivamente la loro adrenalina sulle squadre, con due trionfi separati: quello laziale, istericamente scatenato dalla conquista di un trofeo di seconda categoria e di ultima spiaggia (chi si contenta gode), quello atalantino consolatoriamente orientato sulla vittoria morale di una squadra simpatica e frizzante come non mai (chi si contenta ha sempre ragione).

Sul piano squisitamente calcistico, molta tensione al limite della correttezza, poco bel gioco, parecchio nervosismo, una partita tutto sommato piuttosto deludente, molto lontana dal livello tecnico, agonistico ed emotivo delle recenti partite di semi-finale delle coppe europee. Insomma, tanto tuonò che non piovve, anche se la grancassa mediatica ha dovuto fare fino in fondo il proprio mestiere promuovendo testardamente il mediocre incontro a epico scontro fra titani.

Poi è arrivata la ciliegiona sulla torta: quando ormai si era celebrato il trionfo, in sede di commento a qualcuno è venuta l’idea di rispolverare un episodio molto discutibile del primo tempo: un tocco di mani da parte di un giocatore laziale, peraltro già ammonito, su un tiro atalantino, col pallone deviato a colpire il palo. A me, seduto comodamente davanti al video con un “retrotifo” a favore dei bergamaschi, era parso un fallo da rigore, ma tutto era scivolato via senza problemi e rimostranze. Niente var, niente rigore, niente seconda ammonizione, niente espulsione.

Quando, a partita abbondantemente finita, le luci si stavano spegnendo, viene chiamato in causa l’allenatore atalantino Gasperini per mostrargli la moviola del fattaccio: lui rimane allibito, perché dalla sua posizione ai lati del campo non si era reso conto dell’accaduto e non aveva dato ascolto ai suoi giocatori, che gli avevano tuttavia segnalato quel fallo di mano. Gasperini resta di stucco e, dopo aver ribadito sportivamente l’accettazione della sconfitta e riconosciuto il valore della vittoria dell’avversario, non può esimersi dall’esprimere un giudizio sferzantemente negativo sul comportamento dell’equipe arbitrale, che ha completamente ed inspiegabilmente trascurato quell’episodio.

Non lo ha detto apertamente, ma si sarà chiesto quello che anch’io ho provato a chiedermi: cosa ci sta a fare la var, se non la si usa in simili situazioni; come è possibile che un tale evidente tocco di mano sia sfuggito a chi manovra il video di controllo; come mai non si è chiesto all’arbitro di andare a rivedere l’episodio per poi prendere una decisione a ragion veduta. La partita avrebbe potuto prendere una piega molto diversa. A pensare male si fa peccato, ma ci si azzecca: sarà così anche nel calcio? Scatta la polemica per la gioia dei media, che potranno continuare a parlare all’infinito dell’accaduto e con la delusione degli atalantini corsi in oltre ventimila a Roma e tornati a Bergamo con tanta dignitosa tristezza, ma con la var nel sacco.

Troppe chiacchiere, troppi arbitri, troppi giornalisti e commentatori sportivi, troppo clamore, troppa violenza (questa volta fortunatamente fuori dallo stadio). Ha vinto la Lazio. Non ha vinto il calcio, al quale è stato assestato l’ennesimo calcio.